domenica 27 luglio 2014

Un paio di riflessioni dopo le elezioni europee del 2014


 ( I )

Il tratto più macroscopico, che maggiormente colpisce, riflettendo sulle elezioni europee che si sono appena tenute, è a mio avviso la grande disomogeneità tra le diverse aree dell’ Unione Europea. E non si tratta solo di disomogeneità economica, ma anche culturale, di disomogeneità nel modo di sentirsi come popolo, nelle preoccupazioni principali, nelle mentalità. Finché il progetto europeo sembrava essere un gioco cooperativo o quantomeno un gioco in cui tutti potevano trarre dei vantaggi, le differenze tendevano ad apparire esclusivamente una ricchezza o a sfumare sullo sfondo del progresso comune. Ora pare invece calata una fase plumbea dell’ incomprensione e dell’ estraneità. 

Non c’ è da stupirsi, viste le dinamiche emerse in anni recenti. Ma ora abbiamo, se vogliamo, il referto scritto, nero su bianco. Prendiamo ne atto e facciamo mente locale.
La Gran Bretagna e la Danimarca sono fortemente isolazioniste e vedono l’ UE meramente come un’ area di scambio di merci e capitali che ha solo da funzionare dando a ciascuno il suo.
La Svezia, la Finlandia, l’ Olanda e la Germania sono orgogliose dei successi economici (anche se per alcuni con gravi zone d’ ombra; ad esempio la Finlandia è in recessione da circa due anni, ma sembra sempre guardare all’ UE con occhi da contabile). Questi paesi sono solo preoccupati che i conti economici tornino secondo il loro schema, che l’ Europa ed il proprio paese sia a tutti i costi all´avanguardia nel processo tecnologico, quanto alla produttività ecc. Va da sé che queste nazioni sono coralmente refrattarie ad altre politiche economiche, per non dire arroganti verso il Sud Europa ed i suoi problemi economici.
I paesi dell’ est sono sempre tesi a recuperare a tutti i costi il terreno perduto quanto all’ ottimizzazione dell’ attività imprenditoriale, sono convinti che debbano tenere il profilo basso nelle spese per il welfare per continuare ad attrarre investimenti occidentali. Dimostrano una bassa cultura europeista e sembrano preoccuparsi più della minaccia russa, vera o presunta che sia, che dell’ approfondimento di una democrazia partecipata. Qui sono anche più evidenti  e pericolose che altrove le derive identitarie.
A Sud si tocca con mano la rabbia per aver dovuto pagare il prezzo più alto dell’ austerità, aldilà di propri errori strategici compiuti nel passato. Spesso si aggiunge del rancore verso le istituzioni europee e la prepotenza tedesca. Ma sono pure evidenti forti divergenze tra le forze politiche nazionali su come uscire dalle gravi difficoltà. In questo contesto manca anche la necessaria lucidità su come modificare l’ UE e l’ UEM. Ne risulta una spinta ed una credibilità finora insufficienti per imprimere una svolta.
La Francia è in preda ad una grave crisi d’ identità da quando ha  realizzato che la partnership-leadership con la Germania è squilibrata. La Grande Nation è anche in preda al malumore per aver dovuto seguire le linee di condotta dettate dalle istituzione europee egemonizzate dal partner più potente. Non solo. La Francia è divisa e paralizzata perché nessuna delle due ricette alternative dal punto di vista economico riesce ad imporsi e a funzionare: a ) la proposta gollista di ridurre lo stato sociale e la spesa pubblica per aumentare la competitività dell’ economia nazionale francese, b ) la proposta socialista di tenersi stretto il welfare, una proposta che si è fatta via via più flebile e balbettante constatando come i costi del welfare francese impediscano alla Francia di tenere il passo della Germania.
I gollisti e i socialisti si aspettavano più accondiscendenza da Berlino nel fare una politica di riequilibrio economico (più spesa pubblica, più consumi, più mercato interno in Germania). Si erano anche aspettati più comprensione per il fatto che il welfare francese ha alcuni elementi dinamici per il futuro, cioè che venisse riconosciuta la sua sostenibilità nel lungo periodo. Basti pensare ai grandi sforzi francesi per l’ educazione gratuita dell’ infanzia e della gioventù, un fattore decisivo di integrazione, di giustizia sociale ed un grande impulso demografico e, sul lungo periodo, alla crescita economica. Se sia più saggia Parigi o Berlino lascio a voi giudicare.
Nello stesso tempo la classe dirigente francese non se la sentiva (per orgoglio, per non urtare i tedeschi) di associarsi esplicitamente alle esigenze del sud, a stringere un legame politico per far cambiare rotta all’ UEM. Non voleva infatti finire sul banco degli imputati.
Risultato: la Francia è un paese ‘imballato’ e balbuziente. La sua classe dirigente è parecchio screditata (in buona parte a ragione: Hollande è una mezza calzetta, si contraddice troppo spesso, non ha visioni // i gollisti sono stati al centro di diversi scandali per corruzione, poi, anche se a parole sono molto vicini alla linea dell’ austerità economica, non ne sono molto convinti e sanno che raccoglierebbero poco consenso su questa linea, sanno anche che non avrebbero nemmeno la forza per imporla).
In più, in fase di stagnazione-recessione il problema dell’ immigrazione africana sembra assumere tratti gravissimi. Ovviamente ingigantiti dai reazionari. In questi frangenti le sirene identitarie, come al solito, hanno fatto molta presa. Ergo: Marie Le Pen ha fatto faville.

*          *          *

            Questo mi pare lo stato dell’ Unione Europea, lo stato di una nave finita sulle secche davanti alla costa soprattutto per l’ inadeguatezza delle classi politiche che governano gli stati. A parte certi casi a noi ben noti, non che queste siano così incapaci. No, ma questi sono nocchieri per il piccolo cabotaggio., non gente alla Cristoforo Colombo. Se vediamo giusto, ci vorrebbe un respiro molto profondo e ampio per mettere in comunicazione le diverse culture e tenerle nell’ alveo dell’ unica e comune civiltà europea, per ridare speranze ed un futuro al continente.
Basta porsi alcune domande per afferrare le dimensioni della sfida: quanto si capiscono e si conoscono, nel presente e nella loro storia, le diverse nazioni e le diverse zone dell´Europa comunitaria? E le rispettive classi dirigenti? E come è attrezzata la centrale di Bruxelles per affrontare il problema? Forse quelli che dispongono più di tutti di una cultura intra-europea sono i ragazzi ed ex-ragazzi che hanno partecipato al progetto Erasmus. Ecco la cosa migliore che si è fatta. Ma quanto ha finora inciso sulle classi dirigenti, sulle opinioni pubbliche, sulle popolazioni? Credo che ci voglia ben altro, e con una certa urgenza.


( II )

I paesi cruciali, per i prossimi anni, nello sviluppo dell’ UE e dell’ UEM sono a mio avviso la Germania, la Francia e l’ Italia. I primi due paesi lo sono fin dalla nascita della Comunità Europea, anche per motivi di pacificazione storica. Hanno inoltre avuto anche una forza economica determinante per dare la rotta, nel bene e nel male. Infine, sono autorevoli perché dispongono di stati efficienti e moderni.
Ma perché aggiungo allora l’ Italia, un paese con un semi-stato, sempre appesantito da un quadro politico particolare (intendo tutta la fase repubblicana, dal secondo dopoguerra), segnato da grandi squilibri economici e sociali, tanto preda del clientelismo? Per di più, un paese in fase di stallo e declino da 20 anni. Direi, principalmente per questo motivo: gli altri due grandi paesi sono strutturalmente chiusi su se stessi, nel loro orizzonte nazionale. Sono poco capaci, per non dire incapaci, a rapportarsi con realtà diverse dalla loro. Con loro alla testa, l’ Unione Europea non sarà mai tanto diversa da come è diventata.
E che potrebbe fare il nostro scalcinato Paese? Semplice, ha in sé un vantaggio inestimabile: il cosmopolitismo. E l’ orizzonte dell’ Europa che altro può essere se non cosmopolita? Di più. Senza il passato cosmopolita che ha avuto, l’ Europa non sarebbe quello che è. Non dimentichiamoci che l’ Europa, quale spazio di una comune civiltà, ha ben più di 2.000 anni e che per circa 1.700 anni la spinta civilizzatrice è passata per o venuta dall’ Italia. Non dimentichiamoci che Caracalla diede nel 222 d. C. a tutti gli abitanti dell’ Impero la cittadinanza romana. Non dimentichiamoci da che parte è venuta la cristianizzazione dell’ Europa Occidentale. Non dimentichiamoci il ruolo essenziale avuto dalla Chiesa come forza universalistica e cosmopolita. Non confondiamoci, il Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca non ha mai avuto questi tratti. E ancora oggi qual’ il grado di cosmopolitismo dei tedeschi? Vicinissimo allo zero. Le vicende di questi anni, l’ atteggiamento delle opinioni pubbliche tedesca, ma anche finlandese, danese, svedese, inglese o olandese, parlano un linguaggio chiarissimo. Quanto alle basi antiche e profonde dell’ Europa il nord è a dir poco inadeguato.
Lo sappiamo, il nostro paese ha gravi deficit e problemi con la modernità politica. Non ha ancora risolto il problema dello stato moderno, per dirne una. Lo deve assolutamente risolvere. Viste le tante occasioni mancate ed il tempo perduto, la faccenda è urgente. Il paese deve colmare il vuoto di nazionalità che si porta dietro da secoli. È un dovere farlo, per sé e per il futuro dell’ Europa. Sembra un paradosso: per iniettare adeguate dosi di cosmopolitismo in Europa, il nostro Paese deve innanzitutto diventare più nazione. Ma è solo un paradosso apparente. Non si tratta infatti di cancellare l’ habitus cosmopolita. Del resto, come sarebbe possibile? Nemmeno il fascismo ci è riuscito. No, tenere la propria natura – che è anche il tratto più profondo dell’ Europa – ma essere più efficaci in ambito nazionale, facendo anche rispettare meglio i propri interessi, avendo anche una società più giusta ed equilibrata, è possibile ed è il ruolo che ci spetta.

*          *          *

Dopo questo volo pindarico torniamo a bomba, alla prosa elettorale.  Della Francia ho detto qualcosa. Sulla Germania non voglio spendere molte parole perché ne abbiamo già parlato spesso. A livello elettorale, il risultato è stato piuttosto deludente per la CDU/CSU, soprattutto a causa dell’ affermazione dell’ AfD (il partito anti-euro). Buono invece il risultato dell’ SPD.
            Il dato più negativo, ribadito dalla campagna elettorale, dal clima che si respira e dai dati elettorali è la chiusura rispetto ai problemi del Sud Europa. Autismo quasi totale. Non si discute nemmeno di politiche economiche alternative. L’ informazione su proposte alternative (vedi quella degli consiglieri economici del governo tedesco e quella del Gruppo di Glienicke) è nulla. La Germania cambierà rotta se e solo se saranno le circostanze ad imporglielo, vedi la depressione economica e la deflazione alle porte, o se gli altri sapranno coalizzarsi per un vero New Deal.   
L’ unico barlume di speranza deriva dal fatto che in settori importanti dell’ SPD c’ è attenzione, in alcuni casi, addirittura volontà, di cambiar rotta. Da questo punto di vista il risultato delle elezioni è positivo. Il fronte socialdemocratico in Europa è più forte, anche se l’ elettorato conservatore europeo ha ottenuto ben più consensi. Ma sono consensi che vanno in una direzione impraticabile o portano a politiche che si sono rivelate pericolose e controproducenti. A volte le rotte degli sciami di conservatori sono pure divergenti. Una cosa è comunque chiara: non avremo più ai vertici della Commissione lacchè rigoristi come Barroso, von Rompuy o Olli Rehn. I rapporti di forza sono mutati. E i conservatori responsabili non hanno altra scelta che avvicinarsi alle forze più preoccupate per gli effetti devastanti dell’ austerità sul piano economico e sociale. E poi c’ è un pure un altro fattore assai importante: il successo del PD di Renzi.

( III )

Con una certa soddisfazione mi riallaccio a quanto avevo detto e scritto in ottobre (all’ ultima riunione nella saletta al primo piano della Apothekergasse). Da allora ci ritroviamo in cantina, come dei congiurati. In breve, allora dicevo

  • che era una pia illusione pensare ­– come fa qualche intellettuale acchiappanuvole – che la svolta per il paese potesse venire dal basso, dalla società civile; 
  • che era più che mai necessario che il paese avesse una guida solida, agguerrita e riconosciuta dall’ opinione pubblica e dall’ elettorato, per poi andare a rinegoziare in Europa i termini della politica economica, oltre che per uscire dal berlusconismo della seconda repubblica
  •  che questa guida non poteva che essere il PD ( il Principe ); 
  • che quella scalcinata combriccola di mezze tacche che era la dirigenza del PD avrebbe dovuto cedere il passo ad un vero principe-dittatore: Matteo Renzi; 
  • che in Italia andava assolutamente rafforzato il comando (cioè l’ esecutivo) contestualmente ad una riforma del potere legislativo per renderlo finalmente efficiente; 
  • che il sistema doveva diventare bipolare a pieno titolo, per poter funzionare in modo efficace.  
Allora non mi sarei sognato che Renzi fosse così bravo. Non ha sbagliato una mossa e ha fatto le sue mosse nella sequenza più efficace.
Primo: vincere le primarie e diventare segretario (per non farsi più segare dai grandi esperti di naufragi che abbondano nel partito).
Secondo: trovare un accordo con Berlusconi per rendere definitivo un sistema bipolare centrato su due partiti alternativi, evitando le sabbie mobili su cui i partiti piccoli lo avrebbero costretto a camminare.
Terzo: diventare capo del governo
*per dare un segnale di svolta al paese e rappresentarlo con più ardore ed efficacia nel contesto europeo,
**per non subire sulla difensiva un passaggio così insidioso come le elezioni europee, da sempre occasione ideale per esprimere il malcontento. Un cattivo risultato alle europee gli sarebbe stato subito addebitato dal più cinico e antipatico baffo italiano, così come dall’ ormai celebre smacchiatore di giaguari.

            Mosse di questo genere non possono uscire dalla testa di un bullo di quartiere, come spesso Renzi è stato dipinto. Prendiamone atto e spingiamo tutti dalla stessa parte.
            Sì, perché ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che l’ uscita dell’ Italia dalle sabbie mobili passa per il PD e solo per il PD. Questo partito deve rinnovarsi in fretta, accogliere tanta gente nuova, fresca, pulita e preparata. Sarebbe anche un  grande bene per tutto il paese se tornasse in fretta a curare la struttura di partito, se sapesse accogliere un ampio dibattito nel suo alveo, se si dotasse di un organo di riflessione culturale e scientifica di alto livello, se si occupasse di formare quadri di partito competenti, cacciando gli ignoranti ed i maneggioni. Sinceramente non capisco tanti amici di sinistra con la puzza sotto il naso che si domandano se Renzi sia o meno di sinistra, se il PD sia o meno la riedizione della DC. Tutti pensamenti che hanno un che di surreale.
            Il rinnovamento del Paese passa tutto quanto da sinistra, dalle tante sinistre che esistono. Ma che dovrebbero confluire tutte quante nel PD. Questo è ora il test per vedere se qualcuno appartiene alla sinistra razionale o a quella patologica: vedere se è disposto a dare una mano nell’ unico progetto che ha qualche futuro o starsene da parte a fare l’anima bella. Del resto, come stanno le cose lo avevano capito già molto tempo fa anche intellettuali di destra intelligenti e responsabili come il compianto Montanelli. Quindi, se anche venissero contributi da conservatori seri ed onesti, ben vengano. E anche questa è una vecchia storia italiana. Basti pensare a Vitaliano Brancati, scrittore acuto e cristallino, che già alla fine degli anni quaranta del secolo scorso affermava che in Sicilia, per essere veramente liberali, bisognava come minimo essere comunisti.
            Ovviamente augurarsi che il PD diventi il perno del blocco progressista significa anche mettere in conto ed augurarsi che il blocco conservatore guarisca dalle sue malattie strutturali, esca dal berlusconismo, ricominci a fare il pieno di idee, si depuri di collusioni pericolose e di tic atavici. Tutti dovremmo augurarci che ne esca una destra compiutamente europea. Altrimenti come potrebbe svilupparsi anche da noi una sana democrazia bipolare?
            Che poi gli sforzi da compiere da entrambe le parti siano assai diversi, che sussista una notevole asimmetria tra i due blocchi è pure evidente. Se a sinistra ci sono ancora alcune decine di miglia da percorrere, a destra hanno da attraversare il Sahara. Anche questo ce lo dicono i risultati elettorali.
Il grande successo del PD è da addebitare, in termini di spostamenti elettorali, a un recupero di elettori delusi da Grillo e alla forte attrazione del progetto renziano sull’ elettorato montiano. Nonostante l’ evidenza dei disastri provocati dal berlusconismo, nonostante la rotta politica del PdL e le divisioni interne, nonostante i colpi subiti per le vicende penali di Berlusconi e la perdita di appeal di questo vecchio mal vissuto, la destra ha raccolto ancora il 31% dei votanti. Un risultato di tutto rispetto che dimostra come da quella parte siano veramente… di bocca buona. Di certo non una bella premessa per il rinnovamento. Fortunatamente il popolo del PD è messo meglio.

Heidelberg, 10 giugno 2014

Beppe Vandai

Nessun commento:

Posta un commento