venerdì 29 novembre 2013

Riflessioni sulle elezioni del 24/25 Febbraio


RIFLESSIONI SULLE ELEZIONI POLTICHE
DEL 24/25 FEBBRAIO 2013



Credo che due dati incontrovertibili e di primissima grandezza vadano messi in cima ad ogni riflessione sulle recenti elezioni politiche:

a ) In queste elezioni si offriva al popolo italiano un’ occasione storica, quella di mettere la parola fine ad una fase anomala e pericolosa della sua democrazia, quella berlusconiana. Una fase dominata da un’ ideologia che ha promesso agli italiani un facile paradiso edonistico, ottenuto in modo privatistico senza o contro lo Stato, consumato davanti agli effluvi televisivi, un paradiso alla portata di tutti, raggiunto con l’ individualismo più sfrenato e in spregio ai principi fondativi della nostra repubblica.


Ebbene, a questa fase si poteva mettere la parola fine, se e solo se dalla scelta degli elettori fosse emersa una maggioranza solida, capace di avviare una politica di riforme economiche orientate alla crescita e di ridare speranze di lavoro, capace di ricontrattare con l’ Europa la gestione della recessione in corso, di togliere tutti i ceppi corporativi e parassitari alla produzione di beni e di servizi, di mettere in cantiere la riforma della pubblica amministrazione, di legiferare sul conflitto d’ interessi, di riformare la Rai, di rimescolare le carte nel settore televisivo, e via dicendo. Ebbene, questa occasione, per ora e chi sa per quanto, è stata buttata alle ortiche. Le convulsioni di questi giorni, che forse apriranno nuovi scenari, non cancellano il fatto che quella maggioranza solida non c’ è e che le urne ci hanno consegnato una pericolosa situazione di patta.
b ) Questo ci conferma che purtroppo il nostro Paese è incapace di autoriformarsi con le leve tradizionali di una democrazia rappresentativa e con i mezzi istituzionali di cui le democrazie moderne si sono dotate da tempo. Ad esempio con la semplice e classica mossa dell’ alternanza tre due blocchi. È triste dirselo, ma è così.      
Le forze più responsabili sono tra Scilla e Cariddi. O scendono a compromessi con il mondo berlusconiano ed il suo liberismo fai-da-te, che ricorda piuttosto l’ italica arte di arrangiarsi e di ammanicarsi in qualche clientela, lo stesso mondo che ci ha regalato una bella stagnazione economica. Dicevo, o scendono a compromessi con il partito che ha fatto emergere la suburra, oppure si addentrano in discussioni e trattative con il mondo dei grillini, un mondo che sarà anche un efficace strumento di protesta ed un veicolo di sacrosante riforme, ma che propone anche veri salti nel buio e utopie premonitrici di sicure cadute… con relative fratture.
Aldilà degli errori, anche gravi, delle forze politiche che avrebbero potuto e dovuto essere l’ asse di un serio cambiamento in Italia ( PD+Sel+Monti ) sta di fatto che le forze negative e/o irrazionali hanno prevalso nell’ elettorato. Se sommiamo i consensi del trio PD+Sel+Monti arriviamo a circa il 40% dei votanti. Se però rapportiamo il consenso elettorale di queste forze, che per semplicità chiamo razionali, al 90% dell’ elettorato potenziale, includendo anche un 15% di astensionisti non fisiologici, la percentuale scende a mala pena al 33%.
Non voglio demonizzare nessuno, nemmeno gli elettori del PdL ( alcuni sono anche parenti miei, che stimo e a cui voglio bene ); nemmeno gli elettori protestatari che sono passati dal PD al M5stelle; nemmeno certi amici un poco dinosauri capaci di votare Ingroia, l’ ennesimo esemplare di notabile meridionale, rigorosamente maschio, che sentiva il bisogno di cercare gloria  in politica; nemmeno gli elettori leghisti delle montagne bergamasche a cui va il mio affetto, ma che in fondo vivono in un rozzo universo premoderno, anche se dotato di cellulari, iPad, televisori al plasma ecc.
Tutto questo non mi impedisce dall’ osservare che in Italia, per motivi storici in parte comprensibili, l’ opinione pubblica e la società civile non sono affatto in grado di articolarsi in modo da condizionare razionalmente la società politica e le istituzioni e condurle sulla via del bene comune; dall’ osservare che troppo spesso l’ elettore ha in testa il proprio “particulare“; dall’ osservare che troppa gente segue sempre il primo presunto messia di turno; dall’ osservare che troppi elettori ragionano da qualunquisti e non hanno la più pallida idea di cosa siano scelte razionali, che non sanno fare dei distinguo tra ciò che favorisce o nuoce al bene comune. E non mi esime dal dire che nel nostro Paese non esistono, o non esistono più, canali per distillare delle élites sane, capaci di agire positivamente sul corpo sociale e politico. Forse tutto questo spiega perché due terzi degli italiani abbiano compiuto scelte a mio avviso pericolose o dannose al Paese nel suo insieme.

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Una riflessione proficua non può eludere i due fatti, o meglio, i due complessi di fatti a cui ho appena accennato. Nasconderli o dimenticarli, buttandosi solo in argomentazioni di breve respiro temporale e politico, porterebbe ad abbagli macroscopici. E qui voglio essere preciso. Ora è apparso in tutta la sua gravità il senso di frustrazione e di protesta che si è materializzato nel consenso eccezionale ottenuto dal M5stelle. Tutti evidenziano  giustamente le ragioni per il successo di Grillo: disaffezione alla politica, rabbia sacrosanta dei precari e dei giovani che non vedono prospettive di vita e di lavoro decenti, disagio degli artigiani per la combinazione recessione-tasse.troppo.alte ecc.
Tanti vedono in lui il salvatore della Patria, il vendicatore per tanti abusi subiti, contro una classe politica incapace ecc.  Ma perché non chiederci prima perché una parte degli elettori che aveva votato Lega o PdL è ora passata a votare M5stelle ? Non c’ è un nesso tra le due cose ? Io il nesso lo vedo, eccome, sono infatti convintissimo che senza il ventennio berlusconiano, con lo sfascio civico e morale che ha causato, non sarebbe sorto il M5s. Ma l’ elettore che vede ora in Grillo il messia, e che l’ aveva visto nel 1994 in Berlusconi o in Bossi vede questo nesso causale ? E poi quali chances di rigenerazione del tessuto civile e politico, di formazione di una sana opinione pubblica, offre Grillo ? Questi temi sono nel suo programma, ma i metodi e le analisi sono adatte alle bisogna ? E lo sprezzo per il sistema politico esistente può condurci a costruirne un altro che sarà migliore ? Il suo discorso anti-elitario non è un clamoroso e fatale errore, oltre che un ferro vecchio? Personalmente sono un gramsciano fino al midollo. Solo delle élites stabili, preparate, oneste moralmente ed intellettualmente possono dirigere democrazie complesse come quelle moderne. Mettersi a parlare contro le élites in un paese come l’ Italia, che è sempre stato carente da questo punto di vista, è dissennato e scandaloso. Può avere in anime semplici una funzione consolatoria, ma non porta nulla di buono. Andiamo avanti così, e al prossimo, certo fallimento di un’ utopia anti-elitaria, seguirà la classica venuta di un capo e di un’ élite autoritari !
            Ma non mi fermo qui. Proviamo a chiederci quanti messia hanno abbracciato gli italiani (ahimè, soprattutto nel sud del nostro Paese). Madamina… il catalogo è questo! Prima hanno abbracciato il liberatore Garibaldi, poi, ai primi gravi problemi, i briganti e i sanfedisti che combattevano lo stato unitario. Poi hanno abbracciato i clientelisti alla De Pretis o alla Crispi. Nel 1922 hanno abbracciato Mussolini, che li avrebbe liberati dal pericolo rosso e redenti dai politici e dai partiti, tutti corrotti. Poi hanno abbracciato gli americani che li hanno liberati da quel mostro di Mussolini, e con essi pure i mafiosi che rientravano. Poco dopo hanno abbracciato in massa la DC ed i preti che li avevano salvati dal pericolo rosso. Finita la prima repubblica hanno abbracciato i messia Berlusconi e Bossi per i motivi che sappiamo. Adesso che certi nodi sono venuti al pettine stanno abbracciando Grillo. Ma quante chances di successo ha obiettivamente la nuova utopia ? E chi sarà il nuovo messia da abbracciare se le cose andranno male ? E nell’ immediato, non sarà tutto un andare a tentoni, senza un progetto forte, ampio ed organico ? Di nuovo mi risuonano nelle orecchie le parole di Dante “…nave sanza nocchiero in gran tempesta…”. Ma è mai possibile che questo popolo finisca in queste acque nell’ Europa del 2013 ?

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            Vengo ora ai due principali perdenti di queste elezioni. È evidente che le iniziative di Monti, di Montezemolo, di Giannino non hanno intercettato, se non in quantità risibile, il mondo conservatore deluso da Berlusconi. Non appena il Nostro è ritornato in pista, o meglio in televisione, ha riconquistato in un baleno gran parte del suo elettorato. Ma perché un conservatore come Monti, di certo più serio, più preparato, onesto ed affidabile, non è riuscito a conquistare l’ elettorato berlusconiano ? Direi… per questioni di borsellino e perché il Paese è sempre spaccato ideologicamente. E sempre si rinnova la tenzone tra sanfedisti e giacobini, tra gli illuministi e chi non ha voluto e non vuole accettare l’ illuminismo, tra l’uomo di Machiavelli e l’ uomo di Guicciardini. Tant’ è che, anche a 23 anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla dissoluzione del fronte comunista, tantissimi italiani vedono dei comunisti camuffati in coloro che invocano regole. Sì, loro restano attaccati alla casetta semiabusiva che hanno costruito, si sfregano le mani per le tasse che sono riusciti ad evadere o ad eludere e temono come il diavolo i grandi progetti di razionalizzazione. Gridano allo scandalo se qualcuno vuole disboscare le rendite. E anche parole come ‘equità’ e ‘giustizia’ destano molti sospetti. Ecco, in questo mondo non era pensabile che il PD potesse fare breccia. Ci eravamo illusi che potesse farcela Monti. Ed invece non c’ è niente da fare. Correva le strade d’ Italia la voce che Monti si mettesse a governare assieme al PD. Giammai si voti il cavallo di Troia dei comunisti!! Il blocco ‘guicciardiniano’ si è chiuso a riccio. Tanti altri elettori del centro-destra, rimasti delusi dal cavaliere e da Bossi e colpiti dalla crisi, sono invece passati armi e bagagli ad abbracciare Grillo, saltando di un balzo sia Monti che il PD. Una fuga avventurista, una fuga dal principio di realtà, una mossa autoassolutoria ? Sì, cose del genere, cose da… nazione bambina, un pezzo di Argentina a Sud delle Alpi.
            E per il Pd, come stanno le cose ? Anche qui è chiaro che questo partito è andato incontro all’ insuccesso perché non è riuscito ad intercettare e ad offrire prospettive credibili al mondo dei precari e dei disoccupati, ai giovani disorientati, al mondo della protesta sociale e di sinistra, a gran parte del mondo operaio che da anni non si sente più rappresentato dalla sinistra. Anche senza mettere in conto la campagna elettorale del PD, penso vada detto in tutta sincerità che questo partito ‘quaglia poco’ fin da quando è sorto… perché è un partito ibrido, in cui correnti di pensiero diverse si annullano invece di corroborarsi a vicenda, in cui si è perso troppo tempo in discussioni autoreferenziali. Ecco perché appare sempre così balbettante ed impaurito. E poi tanti dei suoi dirigenti di spicco si sono prodotti in strane giravolte. Per anni erano stati italo-marxisti. Poi, nel giro di poco tempo, senza un’ autocritica e una riflessione condotta sino in fondo, si sono messi a rincorrere i liberali, a dirsi liberali. Tra l’ altro non si erano accorti che uno dei cavalli di battaglia dei liberali, il liberismo stretto, stava andando a sbattere contro il muro. Questa recessione che altro è se non la conseguenza dell’ eccesso di liquidità, dovuta alla deregulation dei conservatori britannici ed americani ? Un eccesso di liquidità che secondo Keynes è sempre foriero di tracolli speculativi e delle conseguenti recessioni. Quando era il momento di leggersi e capire Keynes ( non di recitare i mantra del keynesismo d’ accatto dei tanti sindacalisti che si tirano la zappa sui piedi ) tanti dirigenti del PD si dichiaravano tout court liberali.
            Ancor di più. Qual’ è il sistema di coordinate mentali e ideali del PD che dovrebbe aver sostituito il marxismo ed il terzomondismo cattolico ? Non mi pare che ci sia. Quali sono le idee-forza che dovrebbero permettere al partito di fare proseliti e radicarsi nel territorio, che dovrebbero invogliare i giovani ad impegnarsi in politica ? Va dato atto al PD di tenere alta la bandiera della costituzione e dell’antifascismo tanto calpestati dai berluscones. Va dato atto al PD di essere anche l’ unico partito italiano di rilievo ben in sintonia con i valori costitutivi dell’ Europa.  Lo stesso non si può dire dei centristi alla Casini che, dopo essere stati a lungo alleati del Cavaliere, se ne sono staccati ma gli sono ancora al fianco nel PPE. E non altrettanto si può dire di Monti che, dopo le esternazioni vergognose del ‘rieccolo’ su Mussolini, ha preso una via indegnamente minimalista invece di alzare i toni e di far quadrato con il PD. Ed anche la rincorsa di Grillo alla rabbia diffusa che lo porta a trattare allo stesso modo PD e PdL… che altro è se non una patacca indegna e un falso storico ? E lo sappiamo, con i falsi non si fa molta strada in Europa.
Ma torniamo a bomba. Dato al PD quel che gli va riconosciuto, è utile chiedersi se questo basti a dargli un’ ossatura robusta ed una presa sulla società, oggi come oggi. Direi di no. Manca ancora un messaggio chiaro e razionale, sì compatibile con l’ Europa, ma anche sensibile ai problemi lavorativi delle nuove generazioni, sensibile anche alle esigenze di tutto il mondo produttivo, che orienti la società italiana sulle necessarie riforme di struttura e che la ricuciano nel suo insieme. Un messaggio chiaro che sappia organizzare e mobilitare i ceti più colpiti dalla lunga stagnazione italiana, oltre che dalla recessione in atto. E non avere un messaggio che scaldi i cuori, e addirittura lasciarsi identificare con la ‘casta’, sono colpe gravi, che offrono il destro al populismo  brancaleonesco di un Beppe Grillo. Anche sul tema dell’ informazione e della televisione sarebbe necessario essere definitivamente chiari, incisivi, e partire all’ attacco, facendo anche dei mea culpa per aver subito il modello berlusconiano della democrazia mediatica, una democrazia della chiacchiera facile in cui non si riesce più a distinguere i medici veri dai piazzisti di falsi elisir, in cui ci si ubriaca di parole ai talk shows di destra, di centro e di sinistra.  


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            Vorrei a questo punto affondare ancor di più il dito nelle piaghe della sinistra razional-riformista, lasciando da parte le fisse di quella radicale.
            Quali sono le colpe più macroscopiche della sinistra riformista ? E quali i problemi irrisolti ? A costo di risultare schematico stilerei questo elenco:
1 ) La sinistra non ha più coordinate abbastanza larghe e lunghe per orientarsi nella sua azione. Sa che il nostro Paese è un mix di modernità e di pre-modernità, che ampi strati sociali e ampie zone del Paese non hanno mai interiorizzato l’ abc delle democrazie moderne. Basti citare il prosperare delle clientele e dell’ approccio clientelare al lavoro, alle istituzioni e alla politica, o il dilagare del privatismo, del particolarismo, delle mafie, del parassitismo ai danni dello stato, lo scarso senso civico ecc. Questi fenomeni sono noti.
Ma va subito aggiunto che, se negli anni sessanta e settanta sembravano fenomeni in regresso, negli ultimi trent’ anni hanno invece ripreso fortemente vigore. Come mai ? Di certo il crollo dell’ impalcatura democratica della prima repubblica, così come la cosiddetta fine delle ideologie hanno favorito il corroborarsi di vecchissimi mali. Anche la disarticolazione del tessuto sociale, conseguente al nuovo tipo di capitalismo terziarizzato e sempre meno fordista, ha fatto la sua parte. Ma queste sono concause. Non possono spiegare tutto. Come stanno invece le cose quanto  alle cause intrinseche di quei fenomeni deleteri ? È ovvio che se questi fenomeni hanno cause intrinseche, se funzionano come una seconda natura e posseggono una propria dinamica interna (proprio come i vizi o le cattive abitudini) allora hanno la loro sede nel passato. E qual’ è questo passato ? Quali deficit il passato ha portato con sé ?
E quanti sono consci della loro portata e origine storica e del loro essere effettuali nel presente? Non solo. Quasi un secolo fa Gramsci e Gobetti, consapevoli dell’ efficacia attuale del passato, hanno invocato una “rivoluzione morale ed intellettuale del popolo italiano”. I due avevano concezioni di base diverse. Il primo puntava sul proletariato e sul marxismo come motore del cambiamento, sottolineava però la necessità di un’ alleanza strategica con i ceti medi non parassitari. Annoverava tra i compiti primari della sinistra quello di farsi carico degli incagli premoderni di portata nazionale. Il secondo vedeva come perno la borghesia, cioè guardava il problema dal lato opposto, ma giungeva a riconoscere come indispensabile l’ alleanza con  il proletariato, per lui potenzialmente una forza liberale. In fin dei conti i due convergevano. Ora, il cardine marxiano è venuto meno. Anche l’ incidenza sociale del proletariato è calata di molto. Allora che fare ? Quali sono le stelle polari e le forze sociali a cui appellarsi ? Chi ha le carte in regola per rispondere all’ appello ? E che proposte vanno fatte loro per portare la nazione sulla strada giusta, quali ceti vanno messi alle strette e quali vanno premiati ? Come disarticolare, con metodo e alla luce del sole, gli intrecci perversi di parassitismo e clientelismo nella vita economica, nel cuore dello stato e della pubblica amministrazione ? Come impedire la corruzione mentale di massa del sistema televisivo e incentivarne la funzione formativa ed informativa ? In processi di questo genere quel che più conta è la carica ideale. Se si ha da compiere una riforma morale ed intellettuale, se questa è la leva del passaggio dalla pre-modernità alla modernità compiuta, allora occorre fare il pieno di idee, di proposte di trasformazione attiva, è necessaria una carica ideale fortissima.
            Pur avendo qualche ideuzza in testa non voglio addentrarmi su questo terreno. Per ora voglio chiedere: qualcuno mi può dire quali risposte vengono date dal PD a quelle domande ? Io non le conosco. Qualcuno può informarmi in merito ? Credo che non ci siano. Ma senza di esse, senza un programma storico di trasformazione del paese come è possibile mettere mano a quella trasformazione ?
            2 ) Sono stati commessi errori tattici imperdonabili nei confronti del berlusconismo. La sinistra si è trovata sempre ad inseguire l’ avversario, a limitarlo, a frenarlo. Si è fatto fronte contro di lui, ma presto si è giunti a dare per scontata la sua supremazia mediatica. Ci si è arroccati a difendere le posizioni, lo status quo precedente. In questa battaglia di resistenza si sono trovate a convivere posizioni stataliste e liberali, in un eclettismo strano, poco attraente sia a destra che a sinistra. Le posizioni liberali ed efficentiste sembravano addirittura avere il sopravvento, senza che risultasse chiaro nell’ opinione pubblica perché dovessero essere guidate dalla sinistra e non dalla destra. Mai si è spiegato con chiarezza che, nel caso italiano, in certi ambiti ci vuole più stato, non meno stato, mentre in altri vale il contrario. Si è avuto il timore di gridare alto che il nostro Paese doveva dotarsi, anche con l’ intervento pubblico, di una politica industriale, e al contempo doveva impedire la formazione di grosse sacche di neo-parassitismo delle grandi famiglie industriali e finanziarie. Chi ha mai visto in anni recenti lanciare campagne massicce e durature contro le rendite, per trovare e mobilitare risorse e offrire un solido quadro economico a chi dovrebbe investire e a chi dovrebbe trovare lavoro ? È stato tutto un vivacchiare rabbioso alle calcagna dell’ individualismo di massa e dell’ arte di arrangiarsi veicolati dalla cultura televisiva berlusconiana. Una cultura che non è che la versione moderna di vecchissime tare italiane.
            3 ) La sinistra a lungo non ha voluto capire il profondo malessere del nord. Che immense risorse prodotte nelle regioni del nord venissero dilapidate in varia forma dalla pubblica amministrazione e per dirottarle a sud è un fatto risaputo. Un fatto anche accettato a lungo, sempre a denti stretti. Ma da quando ciò ha comportato un carico fiscale difficilmente sostenibile, o addirittura insostenibile per i produttori, dislocati soprattutto a nord, da quando i ceppi alla produzione sono diventati insostenibili, sia sul versante interno che internazionale, da allora il malessere è diventato protesta. E la sinistra è stata a guardare come l’ elettorato operaio passava in massa alla Lega Nord o addirittura ai berlusconiani. Cose da chiodi!!   Con il tempo è arrivata addirittura a dare per scontato questo fatto. Una cosa ancor più scandalosa, perché così si è fatta identificare con il partito del parassitismo e del settore pubblico. Tra l’ altro senza ottenere maggiori consensi a sud, dove il voto di scambio e il sentire comune hanno sempre favorito la destra. Intendiamoci, questa china non è stata voluta, non c’ era nessun piano della sinistra per andare in quella direzione. Ma questa è un’ attenuante o un’ aggravante ? Non solo. Se si aveva e si ha in mente di tagliare le rendite nel nostro Paese e di farlo procedere contro le forze pre-moderne, allora anche l’ industria che investe andrebbe premiata. Così la sinistra, invece di essere il partito dei produttori si è trovata ad essere messa, per inerzia sua e per ideologia, agli occhi dei produttori, nel novero degli enti inutili. Anche nel suo elettorato è aumentato il peso degli anziani, dei cosiddetti garantiti e del ceto medio riflessivo, soprattutto cittadino. Il quale, preoccupato per la deriva leghista e berlusconiana, demagogica, razzista, antieuropea, e lontano dagli aspetti sociali più crudi del malessere del nord, preoccupato della battaglia sui principi, ha sottovalutato o rimosso i bisogni e le istanze sacrosante dei produttori e del nord.
            La giustissima guerra di trincea contro il berlusconismo, ispirata da irrinunciabili principi democratici, continuamente provocata e alimentata dalla Lega e dai Berluscones, ha reso la sinistra miope da un occhio: quello che dovrebbe avvertire i bisogni dei lavoratori e dell’ imprenditoria sana in un universo produttivo frammentato, frastagliato e ‘condannato’ ad essere flessibile. Di certo la via era strettissima, essendo impossibile mettersi sulla via della collaborazione con le forze della destra. Ma sta di fatto che la sinistra si lasciava identificare come una forza ostile in via di principio all’ imprenditoria, come il partito delle tasse, sebbene la destra stessa ne fosse in gran parte la causa, dovendo alimentare le proprie clientele. In questo contesto, ampi strati operai votavano sistematicamente la destra.  
            4 ) La sinistra politica ha commesso l’ errore imperdonabile di legarsi troppo alla CGIL, un sindacato paladino della difesa meccanica delle conquiste sindacali degli anni sessanta-settanta, incapace di orientarsi nella nuova realtà di un sistema produttivo disarticolato, di costringere gli imprenditori – offrendo loro compromessi – a rapporti di lavoro più stabili per i giovani, incapace di imboccare la via della cogestione, di proporre modelli di formazione professionale contrattati con gli imprenditori. Anche l’ ancorarsi al sistema della cassa integrazione speciale, che mantiene in vita sulla carta aziende che hanno enormi problemi a stare sul mercato, o che addirittura non hanno chances di sopravvivere, è una distorsione, uno spreco di risorse e impedisce la creazione o il miglioramento di tutele universali contro la disoccupazione. Un confronto con i sindacati tedeschi e con i risultati da loro raggiunti in termini di salari, occupazione, allocazione dei lavoratori rimasti disoccupati  sarebbe avvilente.
            Non so se è una percezione solo mia, ma si è ricavata negli ultimi lustri l’ impressione di una sorta di divisione dei compiti: alla sinistra politica la logorante guerra di trincea con il berlusconismo sul fronte parlamentare, dell’ opinione pubblica, delle istituzioni nazionali e locali, alla CGIL la guerra di trincea nel mondo del lavoro per tenere le vecchie posizioni. E tutto questo mentre sarebbe stata necessaria una guerra di movimento, che sparigliasse le carte. Va riconosciuto che da un lato si è arginata l’azione dell’ avversario, che ha avuto sì nell’ insieme un ruolo egemone, ma non è riuscito a ottenere molto di quanto voleva. Ma dall’altro si sono prodotti due effetti nefasti. La sinistra, come la CGIL, si sono messi addosso i panni della conservazione, cosicché anche di recente ha avuto buon gioco  la propaganda grillina sulla ‘casta’ di sinistra, ‘omologa’ a quella di destra. La sinistra politica, oggi il PD, ha perso via via il contatto con i lavoratori ed i giovani precari o disoccupati, diventando sempre più la formazione politica del cosiddetto ceto medio riflessivo, il quale è obiettivamente piuttosto distante dagli effetti della stagnazione e della recessione economica.  Una situazione che non va.
            5 ) Un altro problema irrisolto è quello di come ci si pone di fronte alla trasformazione, tipica delle nazioni a capitalismo maturo, della società da ‘solida’ in ‘liquida’ – per usare la terminologia del sociologo polacco Baumann. Basti qualche accenno per intenderci, per spiegare di che si tratta. Sono sotto gli occhi di tutti la frammentazione sociale, l’ allentamento dei legami tradizionali, l’ individualismo iperbolico, la perdita di momenti aggreganti nella società civile, il prevalere del consumatore sul produttore. A questi fenomeni fanno il paio il tramonto delle grandi ideologie sociali e la perdita di appeal in Occidente delle grandi religioni e dei valori tradizionali. Anche la comunicazione è via via sempre più indiretta e ‘virtuale’, sempre meno dotata di fisicità e del ‘guardarsi negli occhi’. Sono convinto che non si tratta di un fenomeno irreversibile, che nessuna società può stabilmente e definitivamente ‘liquefarsi’. Anzi, già l’ impatto della crisi economica mette il dito sulla piaga e costringerà il corpo sociale a invertire la tendenza, a ‘solidificarsi’. Anche il bombardamento becero dei mezzi di comunicazione di massa, con il senso di vuoto e di frustrazione che lasciano, mi sembra abbia raggiunto il climax.
            Resta però il fatto che un trentennio di ‘liquefazione’ ( per restare in metafora ) ha lasciato il segno. Ed è un brutto segno, che consiste in una forte perdita di quello i sociologi chiamano “capitale sociale“.  Tra l’ altro in Italia quella tendenza moderna si è innestata su una cultura di per sé intrisa di particolarismo. Sì, gli italiani sono stati molto pronti a recepire e godere dei frutti dolci e amari di questa modernità e a imbandire la tavola a festa. L´effetto è stato dunque doppio e ‘liberatorio’. Finalmente si poteva dare la stura a bisogni reconditi, frustrati nei decenni dell’ ‘impegno’, e vivere la nuova ondata di particolarismo con la coscienza a posto. Ma questo non è tutto. L’ unico capitale sociale che ha veramente resistito è stata la famiglia, che del resto, da noi ha sempre convissuto bene con il particolarismo. Abbiamo dunque a che fare, nel nostro Paese, con un pericoloso mix di pre-modernità e post-modernità, a tutto discapito della modernità democratica, nostro tradizionale tallone d’ Achille. In Italia sarà dunque più difficile che altrove invertire la tendenza. Questo è un grosso problema. Come si può infatti sollevare un macigno se manca la leva adatta ?
            Voglio cercare di spiegarmi meglio riflettendo sull’ esperienza personale, su alcune cose che mi sono capitate negli ultimi due anni. A Treviglio ho cercato di far nascere un circolo culturale e di impegno civile che ragionasse sulla crisi italiana e che si proponesse a livello locale come volano e catalizzatore di una ripresa dal basso dell’ impegno civile. I miei interlocutori erano per lo più vecchi amici con una lunga biografia di impegno politico. Credevo fossero disposti a riprendere il discorso, ma mi sbagliavo. Un po’ per l’ anagrafe, un po’ per una disillusione ed una sfiducia antropologica nei propri connazionali, non ne è uscito nulla. Nei miei incontri ogni tanto chiedevo se conoscessero studenti universitari attivi nel loro ambito o interessati a temi civili, mi si rispondeva che vivevo nel passato, che anche tra gli universitari, più o meno, ognuno si faceva i fatti suoi.
Ho anche notato con dispiacere la passività dei nostri connazionali di fronte ai disservizi, la loro rassegnazione. Viaggiando in treno mi sono successe cose, magari piccole, ma che mi hanno lasciato stupefatto. Se ad esempio un treno era in ritardo o improvvisamente arrivava su un altro binario, la cosa non veniva segnalata. E nessuno protestava. Mi è persino capitato di veder segnalato l’arrivo dello stesso treno a due binari diversi. Sono andato subito ad ‘aggredire’ una ferroviera, a chiedere spiegazione. Lei, gentile, si scusava del disguido ma non mi diceva che lo avrebbe fatto correggere subito. Ma la cosa più stupefacente era questa: ero l’ unico a protestare. In Francia o Germania ci sarebbe stata, seduta stante, una sonora protesta. Lì il cittadino è conscio dei suoi diritti e li fa valere. Se non vengono rispettati si organizza. In Italia mi pare che ci sia troppa pazienza cogliona ed un malcontento, un brontolio latente che bolle e ribolle in sé stesso senza esprimersi in iniziative locali e ad hoc, e che poi emerge… alle elezioni con un voto di protesta che dà in un colpo solo al M5s il 25 % dei consensi. Una faccenda che puzza di delega in bianco e di un credo miracolistico. Ma del resto siamo pur sempre il paese dei Santi e dei miracoli. Un tempo in Italia era tutto un fiorire di iniziative dal basso. Questa tradizione evidentemente si è persa. Ma non si può dire “peccato!”. Senza questa gamba nessun cambiamento vero può camminare. E sarebbe anche un dovere di chi ha ancora il ricordo della pratica civile e sociale di base il fare qualcosa, perché quel patrimonio non muoia definitivamente. Si tratta anche di infondere fiducia in se stessi e di trasferire un certo know how che non si trasmette con i libri, che invece necessita del contatto vivo e diretto.
            Non voglio però colpevolizzare gli amici trevigliesi e addossare loro una critica che forse potrebbe sembrare un accanimento personale. Devo anche riferire dei tentativi finora vani di organizzare a Heidelberg i ricercatori e i dottorandi italiani. Quando mi è capitato di fare delle avances con alcuni di loro ho notato subito disagio e silenzi, come se avessi fatto una proposta sconveniente o indecente. Abbiamo fatto anche delle proficue discussioni in VoltaLaCarta!! Ma di iniziative autonome non ne sono sorte. So benissimo che i ricercatori hanno un notevole carico di lavoro e di studio, che hanno risultati da presentare, ma lamentare tra amici la situazione penosa in cui si è cacciato il nostro Paese, in fatto di ricerca scientifica e tecnologica, non basta. Se non sono i ricercatori stessi a creare strutture che avanzano proposte, se non si fanno loro stessi interlocutori della politica e delle istituzioni, c’ è poco da sperare, non resta che la deriva individuale nel risucchio del cosiddetto Brain drain.
            Come vedete sono problemi che non riguardano solo il PD. Problemi tutt’ altro che risolti dal successo del M5s, anzi che attendono ancora una soluzione. Sul tema tornerò fra poco.


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            Affondiamo ora il coltello dell’ analisi nel corpo piuttosto esangue del Centro montiano.  È diventato di moda dare addosso a Monti, accusarlo di essersi piegato alla politica di austerità imposta dalla Germania a tutta l’ Europa o addirittura di averla propugnata con convinzione. Di qui l’ aggravamento della nostra crisi e il suo insuccesso elettorale. Non pochi rinfacciano a Napolitano di aver fatto il gioco di Berlusconi proponendo o imponendo il governo tecnico, di non aver permesso alla sinistra di vincere facilmente, se fossero state indette elezioni anticipate a fine 2011. Si dimentica però in che stato era messo il nostro Paese, nel mezzo di una tempesta finanziaria di enormi dimensioni. Si dimentica che cosa avrebbe significato una campagna elettorale di tre mesi: insicurezza,  mercati azionari in forte ribasso, spread alle stelle, congelamento del credito, speculazione. Lo spread alto ci è costato 28 miliardi di euro. Senza il governo Monti quanto ci sarebbe costato ? E quali sarebbero stati gli effetti a catena su Spagna, Grecia e Portogallo ? E se si fosse innescato un terribile circolo vizioso ? Credo che non ci fosse altra scelta.  Anche Monti non poteva fare altro, per ridare credibilità all’ Italia, che varare le misure antipopolari che conosciamo. Quando Monti si è messo alla guida, il treno era in corsa e il peso dell’ Italia in Europa era nullo, grazie al Cavaliere.
            Monti è stato anche ampiamente criticato per essere sceso nell’agone politico. Concordo che il modo in cui è ‘salito’ in politica  è stato tardivo e troppo timido. Avrebbe dovuto essere lui, nel momento favorevole, a prendere l’ iniziativa. Insomma, abbiamo capito che non è un secondo De Gaulle. Credo però che sia un fatto positivo che lo abbia fatto. Ora, pur con tutte le questioni irrisolte e le debolezze, esiste un polo più o meno liberale che in futuro potrebbe concorrere con il PdL sul fronte destro dell’ elettorato. Una forza politica che può fungere da nucleo iniziale per un riordino del blocco conservatore, una volta liberato dall’ ipoteca berlusconiana e in sintonia con gli altri conservatori d’ Europa. Solo così potrebbe funzionare un bipolarismo dell’ alternanza e non dello stallo e potrebbe finalmente nascere in Italia, su temi scottanti, la necessaria politica bipartisan. Un pensiero su tutti: la lotta radicale alle mafie. I destini della nuova formazione dovrebbero dunque interessarci tutti, se siamo responsabili.
            Detto questo, sarebbe stupido non avanzare delle riserve e dei rilievi critici. Personalmente li riassumerei così:
            1 ) Le formazioni del Centro su cui Monti si è innestato non hanno mai avuto nell’ ultimo ventennio un progetto di trasformazione liberale del Paese. Sono state a lungo alleate con Berlusconi, hanno chiuso due occhi sul conflitto d’ interessi, hanno assecondato tout court gli interventi vaticani sui temi etico-biologici, hanno continuato a perseguire una politica clientelare nelle loro roccaforti, non hanno mai avuto il coraggio di parlare chiaro né di rompere con il Cavaliere sui principi repubblicani e l’ antifascismo. Tutte cose che pesano e ci fanno seguire con riserve giustificate il percorso di questi partiti. Ci conforta comunque il fatto che all’ interno del Centro hanno perso di peso rispetto alla lista dell’ attuale premier.
            2 ) Tutti quanti i centristi hanno sottolineato negli ultimi anni la necessità di più liberismo nel nostro Paese. Da un certo punto di vista, come dare loro torto ? Quando attaccano l’ istituto della cassa integrazione speciale chiamandola una vera e propria manomorta hanno ragioni da vendere. Al nostro sistema produttivo e di relazioni sociali imbalsamato vanno tolte molte bende. Quel che non convince è invece una certa vicinanza al liberismo anglosassone e al monetarismo come lo abbiamo conosciuti nei decenni scorsi. Qui un’ autocritica sarebbe necessaria. Ad esempio l’ idea bizzarra dei vari Alesina, Giavazzi, oppure dei monetaristi tedeschi della Bundesbank & C. che promette l’ uscita dalla crisi attuale con l’austerità, un’ austerità ‘risanante’, ha messo l’ Europa su una brutta china e mostra da tempo la corda. Penso che Monti, volente o nolente, quando ha preso possesso di Palazzo Chigi, non potesse fare altro che assecondare il pensiero e la volontà politica dominanti in Europa. Ma perché offrire al Paese solo lacrime e sangue, con una prospettiva incerta, per non dire sempre meno credibile ? Forse è ora di cominciare a liberarsi dei ceppi dell’ ideologia.
            3 ) Le formazioni di centro si sono spesso buttate su un altro discorso ideologico che le rende poco credibili. Per anni hanno assecondato il disprezzo per lo stato e sottolineato la superiorità o la necessità dell’ iniziativa privata in settori come la scuola, la sanità, l’ assistenza, ecc. Il loro cavallo di battaglia è sempre stato quello della sussidiarietà, così riassumibile: “Lo Stato intervenga solo laddove le istanze locali e della società civile non riescono ad assolvere le funzioni utili alla società che si sono liberamente scelte”. Di per sé nulla da dire, è un sano principio liberale… laddove lo Stato funziona. Ma se pensiamo a come il nostro Stato è stato conciato dalla lunga mancanza di alternanza politica, dall’ ingerenza eccessiva dei partiti e dalle lottizzazioni della Prima Repubblica; se pensiamo all’ inefficienza che lo contraddistingue, all’ approssimazione del personale che vi si è annidato, anche alla presenza di lobby sindacali, al clientelismo che lo ha fiaccato nel profondo, fenomeni che questi centristi, e ancor più i loro padri politici, hanno contribuito a creare, allora è chiaro che questi hanno la coda di paglia. Non solo, la loro posizione è irresponsabile, fuorviante e pericolosa. Addirittura si sente spesso sulle loro bocche, come del resto dai berluscones, che vista l’ inefficienza dello stato, vanno ulteriormente ridotte le competenze pubbliche a vantaggio di quelle private. Cose da pazzi, da masochisti o da farabutti. Ma si sono mai guardati intorno in Europa ? Dovunque il buon funzionamento dello Stato è considerato come una necessità ovvia, come un bene irrinunciabile. Non possiamo fare un discorso ideologico. Da noi in molti casi ci vuole più stato, da noi il problema è di renderlo più efficiente, giusto, competente, snello. In altri casi, dove è sinonimo di clientelismo, di pletora artificiale di parassiti, si tratta invece di disboscare. Da noi sarebbe auspicabile il controllo vigile, anche l’ intolleranza, della società civile sui servizi  e sul funzionamento dello stato, invece che avanzare la richiesta pelosa di più privato. Qui i centristi dovrebbero fare mea culpa e guardare a sinistra piuttosto che a destra.


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            Ma dove va parare tutto questo discorso ? Lo avrete capito. A quello che avrebbe dovuto essere l’ esito a mio avviso auspicabile delle elezioni di fine febbraio: una vittoria delle formazioni di centrosinistra e di centro ed una loro collaborazione al governo.  Solo queste, infatti, pur con tutte le gravi carenze, ci avrebbero permesso di dialogare nel contesto europeo e di contrattare, adesso, le modifiche della politica economica europea necessarie al nostro Paese e a chi è colpito di più dalla crisi. Solo queste forze politiche danno garanzie per iniziare a invertire la rotta. Solo una solida alleanza tra di esse avrebbe infine accelerato l’ uscita definitiva di campo di quel flagello biblico che risponde al nome di Berlusconi.
E invece le elezioni hanno detto tutt’ altro. Il consenso che hanno ottenuto, anche per aver condotto malissimo la campagna elettorale, è largamente insufficiente. Anzi, sono queste le formazioni che rischiano di venir risucchiate l’ una dal gorgo della rabbia e della protesta, e l’ altra dalla paura conservatrice.  C’ è poco da stare allegri. Le elezioni sono la prova che al Paese mancano sia il baricentro che la bussola. Un baricentro sociale e politico che offra una massa stabilizzante, che impedisca sbandamenti e pericolose avventure. Una bussola che orienti sui passi da fare. Ma, uscendo dalla metafora, quali dovrebbero essere il baricentro e la bussola ?
Una società civile sicura di sé, conscia del suo ruolo, sufficientemente articolata e organizzata, non segmentata a compartimenti stagni che si combattono e si neutralizzano a vicenda o che puntano ad accaparrarsi sussidi o brandelli di stato. E poi, dei partiti ben attenti e funzionanti, visto che in democrazie grandi e complesse sono i necessari centri di mediazione tra la società e le istituzioni statali, i centri di elaborazione delle idee e dei programmi, così come i selezionatori o promotori di sane élites. Ebbene, qui siamo nel marasma.
La Seconda Repubblica e la sua suburra hanno peggiorato la situazione persino rispetto alla Prima. Né le proteste urlate né le fughe in avanti risolvono questi problemi.  Rischiano anzi di sviare l’attenzione su chimere pericolose. Prendete l’ idea della decrescita da perseguire in una fase di recessione che sta scivolando verso al depressione. Porterebbe al baratro economico del Paese. Oppure il discorso sul default del nostro Paese, da accettare a cuor leggero. Sarebbe la fine dell’ Euro e l’ anticamera del crollo della costruzione europea. Oppure il discorso sul reddito di cittadinanza senza averne le risorse e nel contesto economico che sappiamo, magari accoppiato al default e al ritorno alla lira. Ma dove vogliamo andare ? Ritornare agli anni trenta del secolo scorso, a un tracollo della democrazia parlamentare in un contesto economico drammatico  ? Inseguire certe idee, bamboleggiarvisi, ci regalerebbe una svolta autoritaria e ci condurrebbe a un disastro di dimensioni storiche. Altro che maturazione verso forme più avanzate di democrazia! Solo uno come Dario Fo può credere a certe favole. Sarebbe proprio lui il presidente perfetto … della nave dei pazzi.
Proviamo invece ora a puntualizzare, a chiarire il ruolo ed i compiti che dovrebbero assolvere i partiti in una democrazia complessa e matura. Facciamone un quadretto ideal-tipico. I partiti dovrebbero essere i principali corpi intermedi deputati a trasmettere le istanze della società civile alle istituzioni locali e nazionali, al potere legislativo ed esecutivo. I quali poi hanno da influire sugli apparati statali. I partiti dovrebbero assolvere il loro compito innanzitutto fungendo da sonde, distendendo i propri organi sensori nel corpo sociale, ovviamente in primo luogo nei settori che sono a loro consoni o congeniali. La loro prima funzione sarebbe dunque quella di raccogliere informazioni e di imparare ‘facendo inchiesta’. Ma dovrebbero naturalmente anche filtrare e selezionare quelle istanze, elaborarle  con il proprio linguaggio e secondo le proprie coordinate concettuali, commisurandole ai propri principi-guida. Altra funzione imprescindibile è quella di fare ‘pedagogia di massa’, di far sì che i segmenti di società civile che un partito si sente di rappresentare acconcino le proprie istanze e i propri messaggi alle contingenze, che imparino a selezionare richieste che abbiano chances di affermarsi, anche ad articolarsi in modo conflittuale ma democratico. Ma non è ancora tutto. Un partito politico ha anche il compito e il dovere di trasmettere alla società civile e all’ opinione pubblica input che vengono dall’ alto, dalle istituzioni statali o locali, di farne capire il senso e l’ importanza, sia che le si condivida, sia che ci si opponga frontalmente, sia che si cerchi di modificarle.
Non ci si scappa, i partiti sono o dovrebbero essere il cuore pulsante di una democrazia. Anche i movimenti non possono risolvere questo problema. E, se sono coscienti dei loro fini, assegnano a se stessi un ruolo stabile nella società civile, e in più vogliono assumersi in proprio quel ruolo di mediazione, devono trasformarsi in partiti. E una volta fatto questo passo, darsi un funzionamento regolare e stabile, dotarsi di strutture necessariamente piramidali, ma anche di centri studi, curare la formazione dei quadri, stabilire forme di disciplina democratica e procedure decisionali e di controllo al contempo trasparenti ed efficienti, garantire canali di mobilità dal basso verso l’ alto e dall’alto verso il basso.  
Ma in Italia come siamo messi ? Da molti lustri sono nati o nascono a getto continuo partiti personali, ognuno attorno ad un leader che per lo più ha in mente solo pochi temi, in cui, se va bene, è competente.  Oppure sorgono da liste elettorali centrate su un obiettivo immediato o contingente, magari per riuscire a mettersi al tavolo di una maggioranza. Oppure abbiamo avuto il caso del partito-azienda. Vengono i brividi solo a sentire pronunciare questo termine assurdo. Ma del resto, ben si capisce, in tal caso si trattava e si tratta di tradurre in politica l’ interesse di una persona, del suo gruppo industriale e del suo entourage. Una tale intromissione è un’ anomalia perniciosa per una democrazia. Un simile partito, Forza Italia, con il successo che ha raccolto, ha dato la misura della debolezza democratica della nazione nel suo complesso. Non solo, è stato anche l’ inizio di una china pericolosa, di un lungo deterioramento e sfilacciamento, non solo della politica, ma anche della società civile e del tessuto democratico. Ha anche scompigliato le carte e mutato gli stili, il linguaggio e i metodi della discussione,  mutuandoli dalla televisione e dalla pubblicità. Così è iniziata un’ epidemia di partiti fluidi, caduchi, appariscenti ma di poca sostanza, che hanno promosso l’avanzare di un personale politico impreparato, litigioso, preoccupato più dell’ apparire e dell’ avere che dell’ essere. E si è data l’ impressione che chiunque potesse fare qualsiasi cosa, si è fatta sedere la suburra negli scranni del senato. Anche il messaggio alla società civile è stato nefasto.
Adesso poi, l’ ultimo grido sembra essere un movimento che ha il ruolo di un partito anti-partito, che pare funzioni con i meccanismi orizzontali di un movimento, ma non diretti, bensì virtuali, laddove però il tutto è nato per gemmazione dall’ alto, dal blog di un guru che raccoglie tanti input dal basso, li elabora tra sé e sé o con un altro guru in camera caritatis e propone infine i suoi output in rete, o a giornalisti esteri, o in lunghi monologhi che tiene davanti a folle deluse dai partiti. Scusate la frase mozzafiato, ma voi vi raccapezzate in questa cosa che sfugge ad ogni definizione canonica ? E una cosa che sfugge ad ogni definizione vi sembra una cosa ben fatta o sana ?
Aldilà del sarcasmo da humor nero che qui mi ispira, questo ‘movimento’ vi pare assimilabile ai movimenti degli anni sessanta-settanta che nascevano dal basso e si organizzavano in settori della società civile a partire da bisogni precisi e/o attorno a istituzioni o situazioni ben precise ? Penso al movimento studentesco, a quello degli inquilini, ai comitati di quartiere, alle cooperative di consumo, ai comitati di difesa del territorio dall’ inquinamento, al movimento delle donne, ai gruppi di solidarietà per il terzo mondo. Non voglio propormi come lodatore del tempo andato. Non intendo nemmeno esaltarli acriticamente o riproporli pari pari per il presente.
Se proviamo a chiederci dove abbia fatto la gavetta il M5s e dove siano le sue radici profonde, scopriamo di non trovarle nelle articolazioni della società civile. Semmai è il frutto di un atteggiamento di critica e di rabbia per come la società politica italiana non ha assolto le sue funzioni. OK. La nostra democrazia ha fatto cilecca, i partiti sono spesso degenerati ad aggregati di clientele, quasi ovunque si sono formate delle caste. Ma se si è seri, si deve spiegare il perché del degrado e fare nomi e cognomi, fare i necessari distinguo. E poi si deve tirare in ballo anche la società civile. Perché si è involuta, perché è diventata il palcoscenico delle sceneggiate televisive, perché ha permesso e permette da decenni l’ uso delle funzioni pubbliche per corposissimi e noti interessi privati ?  E quale sarebbe il rapporto del M5s con la società civile ? Quale pedagogia di massa fa questo movimento-partito-antipartito ? Forse quella che fa del cittadino l’ uditore arrabbiato delle biliose concioni di un uomo che scarica ogni colpa sugli altri, che educa le masse al rifiuto del principio di realtà e di responsabilità ?
Quanto diverso il caso dei Verdi tedeschi! Un movimento che si è fatto partito, anche se di tipo particolare. Giusto in questi giorni festeggiano il trentennale dal loro ingresso nel Bundestag, si badi bene, con un ‘misero’ 5,6% dei voti. Una bazzecola rispetto al successo di Grillo!  Da che esperienza erano venuti ? Da un capillare tessuto di iniziative ecologiche locali, dal movimento di protesta contro le centrali nucleari, dalla creazione di cooperative agricole biologiche, dalle cellule locali del movimento per la pace. Partendo dalle città universitarie, loro roccaforti, avevano creato anche negozi alternativi, gruppi teatrali e musicali, gruppi d’acquisto alternativi, fatto nascere librerie, creato uffici che organizzavano viaggi e trasporti in comune (Mitfahrgelegenheit) per risparmiare e inquinare di meno. Avevano creato asili alternativi, consultori medici. La lista non è esauriente, ma dà un’ idea di un’attività variegata, capillare, febbrile, nel corpo della società. I singoli gruppi non erano affatto cloni di un centro. Tantissimi giovani, e meno giovani, si sono dati alla politica, l’ hanno innervata dal basso. Il movimento dei Verdi ha anche approfittato delle esperienze dei movimenti extraparlamentari socialisti o marxisti degli hanno settanta. Molti leader e militanti che venivano dalla sconfitta di quei movimenti hanno riversato la loro esperienza in quella dei Verdi e si sono così ‘riciclati’ dopo aver fatto un’ autocritica sul tema della violenza e della lotta antisistema. Ora il movimento si poneva nel sistema per trasformarlo. Poi, quando i Verdi hanno avuto anche la massa critica sufficiente, si sono proposti alle elezioni, prima locali e poi nazionali. Poco alla volta, con molte tensioni interne, si sono fatti partito. Dopo un lungo processo di discussioni e confronti anche aspri, la corrente dei ‘realisti’ ha avuto il sopravvento. Nel 1998 erano al governo. E la loro storia ancora continua. La Germania non è più pensabile senza di loro. Anche sul fronte della crisi economica, sono stati i soli in Germania ad appoggiare senza tentennamenti le proposte del ‘comitato dei saggi’ per l’ istituzione del ‘Fondo di Redenzione’ e degli Eurobonds. Ora che tutti i nodi sono venuti al pettine, ne sentirete parlare di nuovo, per sommo dispiacere della signora Merkel !!
Non è mia intenzione farne un panegirico acritico dei Grünen o sprofondare nella depressione i miei amici che si sono impegnati tra i Verdi italiani. Quel che mi preme è altro.
a ) I Verdi tedeschi sono l’ esempio di un’ evoluzione da manuale di un movimento vasto, protestatario ma anche propositivo, che si trasforma in partito senza perdere l’ innesto nella società civile. In ciò non vedo alcuna analogia con il M5s: una strana creatura che è piuttosto il sintomo di una grave malattia della società civile e politica italiane, un sintomo che ne aggrava la crisi.
b ) Dobbiamo fare mente locale sulla distanza siderale tra come è messo l’ intreccio tra società civile e politica in Italia e in Germania. Dal confronto, avvilente per noi, possiamo vedere con chiarezza dove stanno i nostri problemi, dove dovremmo e dovremo agire. Non da ultimo, possiamo giungere ad un certo distacco per giudicare meglio quanto sta accadendo sulla scena politica in Italia.

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            Ora che abbiamo guadagnato l’ altura che ci offre una buona visuale, convinciamoci di questo: nonostante soddisfi solo in piccola parte i requisiti del partito ideale che ho delineato poco sopra, il PD è l’ unico partito italiano, veramente democratico e sufficientemente diffuso, in grado di avviare un cambiamento positivo nel nostro Paese. La stessa lista Monti è ancora ben più indietro da questo punto di vista.
Scrivo questo pur nella convinzione che il PD sia un partito ingessato e troppo autoreferenziale. Le ultime elezioni e l’ ultima campagna elettorale lo hanno dimostrato ampiamente. È anche un partito che abbisogna di un notevole e rapido ricambio.  Eppure è l’ unica leva che ci è rimasta. E chi lo critica, ma ne condivide i valori-base, dovrebbe entrarvi per trasformarlo piuttosto che stare a commentare con rabbia o distacco lo sfacelo generale. Sempre e rigorosamente sterili… sono le ‘anime belle’!
Detto questo, che fare ora, e che cosa augurarsi, in concreto ? Questi mi sembrano i passaggi necessari, a livello politico e istituzionale, per invertire la rotta in Italia:
I ) Sul fronte destro dello spettro elettorale, è urgente che si giunga alla disarticolazione di due partiti dannosi per una democrazia parlamentare moderna: il PdL e la Lega. Sarebbe fatale che rientrassero nel gioco politico in modo fattivo. Hanno fatto troppi danni nel sistema politico e nella società civile da quando sono stati alla plancia di comando. Lasciarli a ‘bagnomaria’ è il minimo che si possa fare. Non solo. Non bisogna indugiare un solo momento a riprendere la battaglia contro il conflitto di interessi. Va anche detto con forza e a viso aperto che proprio da lì, da quel peccato originale, è iniziata la china perniciosa delle Seconda Repubblica. Il fronte berlusconiano va messo in crisi. Così si darebbero chances al Centro montiano per guadagnare terreno. Ovvio anche che i canali tra PD e Monti vanno mantenuti.
II ) Sul versante di sinistra non resta che accettare la sfida con il mondo grillino. È necessario che il M5s metta le carte in tavola. I grillini vanno incalzati e messi subito alla prova, soprattutto partendo dalla parte sacrosanta del loro programma, la critica alla casta e alle manchevolezze del sistema politico. Qui vanno riconosciuti i loro meriti, che però a mio avviso lì finiscono. In tal senso, la proposta di Bersani penso vada percorsa fino in fondo, anche se andrà a sbattere contro il muro. Un segnale va dato. Se si andrà ad un governo super partes, sarà solo dopo che i grillini avranno fatto fallire il tentativo di Bersani. Questo dovrà essere chiaro anche ai sassi.
III ) Nella fase presente il PD deve aprirsi al massimo alla società civile, facendo anche le dovute autocritiche, rinnovando anche la propria dirigenza, senza però cadere in populismi. Guai a diventare un partito-codazzo di un leader. Il discorso sul ruolo necessario, nelle democrazie moderne, dei partiti per la mediazione tra società civile e Stato è un punto fermo, da ribadire e spiegare. E stare tra la gente, anche sentendo improperi, è un obbligo ancora più pressante.
IV ) Sul fronte della crisi europea, economica e politica, è necessario un cambio di marcia. Va superata la linea dell’ ‘austerità risanante’, vanno richiesti impulsi per uscire  dalla recessione con una politica economica espansiva. L’ Europa è la sola sede adatta. Le modifiche vanno rivendicate dalle forze politiche responsabili e veramente europeiste e vanno presentate al Paese nel giusto contesto come una loro conquista.
V ) Anche il tema del cambiamento della legge elettorale è pressante. E qui dobbiamo convincerci e convincere che solo un sistema elettorale maggioritario a due turni fa al caso nostro. Perché ? Innanzitutto fa sì che l' eletto in un collegio abbia avuto il consenso della maggioranza dei votanti. Cosa che fornisce una forte investitura, lega fortemente l' eletto al suo collegio e gli conferisce una notevole forza anche a livello regionale e nazionale. Permette inoltre di sfoltire l' iper-offerta  (ovvero la frammentazione) politica. Toglie quel potere di ricatto delle piccole formazioni che abbiamo visto in atto in anni recenti sia a sinistra che a destra. Ma i vantaggi non finiscono qui. Allenerebbe l' elettorato al pragmatismo e alla razionalità; in più produrrebbe una selezione degli eletti meglio capaci di attirare voti anche dal centro e, in qualche caso, pure dal campo opposto. Ne uscirebbe una classe politica più attenta ad un consenso ampio, più pragmatica e meno massimalista o faziosa. Il discorso vale naturalmente sia a sinistra che a destra. Da quasi 30 anni il politologo Giovanni Sartori batte e ribatte su questi argomenti, eppure, nonostante la loro forza e razionalità, è rimasto a lungo inascoltato. A raccogliere questa bandiera fu in passato solo una parte dei DS, ma la proposta di una legge maggioritaria alla francese è sempre stata oggetto di trattativa con altri partiti che la vedevano come il loro karakiri. Allora, per ragioni tattiche, è sempre stata riposta nel cassetto. Il PD l’ ha fatta sua, ma non è mai stata al centro di una battaglia nel Paese. Mi sembra venuta l’ ora di farlo.


                                                                                              Beppe Vandai
                       
                                                                                  Heidelberg, 8 marzo 2013




















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