martedì 30 luglio 2013

La borghesia in Italia dal '200 al '500.


Quadro demografico


Nella prima metà del ‘300 la popolazione urbana in Italia si attestava tra il 20% ed il 25% dell’ intera popolazione. Le stime sulla popolazione totale sono molto incerte. A seconda degli autori variano dai 10 mil. di 12,5 mil. di abitanti.

Più sicuri i dati sulle città. Considerando città, nel e per il ‘300, i centri superiori ai 5.000 abitanti si hanno questi dati: in totale 193 città, delle quali 79 superavano i 10.000 abitanti. Tra queste ben 43 superavano i 15.000 abitanti [ un dato di prim’ ordine se pensiamo che Londra aveva a quel tempo circa 25.000 ab., Vienna meno di 20.000, Amburgo meno di 10.000. Città estere di prima grandezza erano Bruges con 35.000 ab. e Colonia con 30 / 35.000 ab. ].

 

Le grandi città italiane che superavano i 40.000 abitanti erano: Brescia, Cremona, Milano, Padova, Verona, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Siena, Messina e Palermo. Roma e Napoli contavano rispettivamente 30.000 e 33.000 abitanti.

Le metropoli del tempo erano Milano ( 150mila), Venezia (110mila) e Firenze (110mila), a cui andrebbero aggiunte Genova (60mila) e Bologna (60mila).
In totale, a quel tempo, abitavano nelle città poco più 2,5 milioni di italiani. A quel tempo l’ Inghilterra contava 5 milioni di abitanti, di cui pochissimi urbanizzati.

La distribuzione era però diseguale.
Le regioni con il maggior numero di centri urbani importanti e con il maggiore tasso di urbanizzazione erano: Lombardia, le Venezie, l’ Emilia Romagna, la Toscana, l’ Umbria, le Marche, la Puglia e la Sicilia.
Le prime 6 regioni costituivano la zona decisamente più popolosa d’ Europa.

La popolazione urbanizzata dell’ Alta Italia e della parte Nord del Centro
( Toscana, Umbria e Marche ) [ chiamiamola: zona 1 ] ammontava a circa i due terzi del totale. Il resto era dislocato da Lazio e Abruzzo in giù e nelle isole
[ zona 2 ].

Anche il tasso di urbanizzazione delle due zone era differente. Ipotizzando una popolazione di 11,5 milioni di abitanti, nella zona 1 la quota di popolazione urbana era tra il 23 % e il 24 % della propria zona, nella zona 2 tra il 18% e il 19%. Nella zona 1 abitavano circa 7 milioni di persone, nella zona 2 circa 4,5 milioni.

I dati dell’ urbanizzazione italiana, se confrontati con il resto d’ Europa, sono notevoli. Per dare un’ idea: per molti secoli la maggiore città tedesca fu Colonia, la cui popolazione variava tra i 30 e 35.000 abitanti. Londra aveva probabilmente 25.000 abitanti. A Nord delle Alpi c’ era una sola metropoli, Parigi, che contava 100.000 abitanti.


Dinamica demografica ed economica: la rivoluzione urbana

[ Vedi: “Storia economica dell’ Europa preindustriale, di Carlo M. Cipolla, Il Mulino 2002, p. 14 , tabella 1 ]

Grande espansione dal 1.000 alla fine del ‘200 che ha come cause di fondo quattro fattori geopolitici (politico-militari ed etnico-religiosi): [ 1 ) l’ arresto spontaneo delle incursioni predatorie dei Vichinghi, loro insediamento in Normandia e in Britannia, 2 ) l’ arresto delle incursioni magiare grazie alle truppe tedesche di Ottone il Grande, nella battaglia di Lechfeld, nel 955 + l’ arresto della diffusione degli slavi, + il ‘Drang nach Osten’ germanico 3 ) inizio della Reconquista nella Penisola Iberica 4 ) le Crociate ].

Causa endogena, di tipo economico- sociale:
l’economia curtense, basata sull’ autarchia ed il lavoro servile, venne aggredita e gradualmente soppiantata da un nuovo sistema economico, basato sulle città, gli scambi ed il lavoro libero.
Il fenomeno cittadino prese forma e si sviluppò con un massiccio movimento migratorio dalle campagne. Le mura delle città tagliavano in due il mondo di allora e segnavano il confine tra due culture disomogenee o in conflitto.

Di gran lunga all’ avanguardia del fenomeno cittadino era l’ Italia centro-settentrionale. Testimonianza di Ottone di Frisinga (zio del Barbarossa): “ In Italia comanda il popolo ”.

Tra il 1180 e la metà del ‘300 ci fu il più lungo ciclo economico espansivo della storia europea: 150 anni. Il motore fu l’ economia monetario-mercantile e lo sviluppo delle città. In Italia il ‘200 fu il secolo del popolo ( borghesia ).

Tutto questo non deve portare a conclusioni fuorvianti. L’ Europa restava e resterà per lungo tempo una regione in prevalenza agricola. Ma la borghesia c’ è, conta sempre di più. La sua più forte presenza è nell’ Italia centrosettentrionale.


Tipologia delle città: [nella bibliografia: vedi M. Ascheri + C. M. Cipolla, parte II, cap. 1°]

Città borghese : enclave nell’ universo feudale e prevalentemente agrario, entità sotto tutela imperiale o monarchica. La nobiltà viveva in campagna, nei suoi castelli. Nelle città era lasciato campo libero ai borghesi. Le città erano soprattutto centri commerciali o produttivi, ma sotto tutela monarchica o imperiale: oasi non feudali in rapporto feudale con il sovrano. Loro diffusione: soprattutto a Nord delle Alpi.

Universitates : realtà urbane create dal o sottoposte al sovrano da un legame feudale, ma in cui risiedeva anche la nobilità. Tipiche del Sud Italia.

Città-stato : realtà urbane, createsi spontaneamente (spesso attorno ad un vescovado) o rivitalizzando antiche città romane per opera congiunta di laboratores e bellatores (nobiltà minore e cadetti), realtà che si autogestiscono secondo un modello che già fuoriesce dal modello feudale. Queste città sperimentano l’ autogoverno in senso pieno e danno poco alla volta l’ assalto al contado (legandolo a sé, spingendo contadini e artigiani dei villaggi ad inurbarsi). Si scontrarono così con i feudatari locali, poi con l’ Impero stesso ed in parte con il Papato. Praticamente diffuse solo nel Centro-Nord italiano.

Le città più dinamiche furono le prime e le terze. Le prime solo da un punto di vista economico e sociale, le terze anche da un punto di vista politico e istituzionale. In esse (prime e terze) si sviluppò un’ ampia borghesia.


Integrazione città-contado e ruolo economico della Chiesa [ vedi: C. M. Cipolla, parte I, cap. 8 (pp. 67 – 71 ) ]

a ) In tutta l’ Italia centro-settentrionale le città riuscirono a diventare egemoni sul contado circostante. Iniziarono presto una politica di de-feudalizzazione. Oppure avvenne che i coltivatori diretti si mettessero sotto la tutela della città. Attorno ad esse ruotava una galassia di villaggi e cittadine agricole.
Presto furono gli stessi mercanti e imprenditori cittadini ad interessarsi alla terra, come fonte di investimento (differenziazione del capitale) e di sicurezza economica per periodi di crisi.
Nell’ insieme si ebbe un effetto rivoluzionario sulle campagne: spinta alle bonifiche e alla canalizzazione, redditi più alti, inserimento in un circuito commerciale dei prodotti agricoli, affrancamento della servitù della gleba.

b ) Un impatto particolare si ebbe anche nei confronti delle proprietà ecclesiastiche. In Lombardia, a metà del ‘500 il patrimonio agricolo ecclesiastico ammontava solo al 15% del totale. Nel Piacentino era addirittura del 9%: dati nettamente inferiori al resto d’ Europa, eppure non c’ era stata la Riforma Protestante.

Come spiegare il fenomeno ? Con questa strategia: presa in affitto a livello o decima di terre ecclesiastiche, ma con la clausola contrattuale particolare che, in caso di migliorie dei terreni, queste dovevano venire riconosciute e pagate al fittavolo da parte del locatore. Se questi però non poteva farlo, allora pagava in natura, cedendo al fittavolo una parte della terra. Così, poco alla volta, le enormi proprietà ecclesiastiche vennero erose diventando beni allodiali di mercanti o grandi agricoltori ‘borghesi’. [ Questo spiega anche perché la Lombardia era così appetibile per gli austriaci e perché la borghesia lombarda, cittadina e non, fu l’ unica ad essere pronta per la fase napoleonica ].

Lo stesso non avvenne però né a Venezia, né in Toscana o nella Romagna. Lì la quota di terre di proprietà della Chiesa rimase immensa e crebbe addirittura nei secoli XVI e XVII.









Sviluppo dell’ economia mercantile, creditizia e monetaria [ vedi: C. M. Cipolla, parte II, capp. 23 e 24, (pp. 227 – 263 ) ]

Solo alcune parole chiave per rammentare alcune innovazioni economiche made in Italy:
Organizzazione delle fiere e delle compensazioni di fiera. Diffusione dei manuali di mercatura. Sviluppo di nuovi tipi di contabilità (partita doppia). Le banche compaiono per la prima volta a Genova nell’ XI secolo (originariamente erano dei cambiavalute). Sviluppo della lettera di cambio. Lo chèque, la girata, la cambiale tratta.
Notevole sviluppo di banche e gruppi finanziari privati. Ad essi si aggiungeranno in seguito i banchi pubblici ed infine i Monti di pietà (una sorta di casse rurali ante litteram).
Titoli di stato (credito allo stato) contrattabili in borsa.
Contratto di commenda. Assicurazione delle commende.
Al centro di tutto questo sviluppo sono i grandi mercanti, che divengono anche il perno della produzione, del sistema creditizio e bancario, così come del sistema finanziario-assicurativo. Si creano poi attorno ad alcune grandi famiglie di mercanti dei veri combinati finanziario-commerciali. Poi nascerà anche la forma della compagnia mercantile. Dapprima a Genova e che farà scuola in Olanda e poi in Ingilterra.

M o n e t a
Dall’ XI secolo si diffonde e cresce l’ uso della moneta, non più appannaggio solo degli imperatori e dei regni. Soprattutto in area italiana e tedesca, per via dello stato dell’ Impero, a battere moneta erano autorizzate una miriade di istanze locali ( principati, ducati, contee, città ). Monometallismo: argento. Problema: instabilità e insicurezza nell’ uso della moneta per via del suo logoramento e perché la moneta veniva svilita dalle zecche per ordine dei loro sovrani che volevano così ridurre i loro debiti. Questo frenava molto gli scambi e i prestiti.
La soluzione venne a metà del ‘200. Quasi contemporaneamente Genova e Firenze iniziarono a coniare monete d’ oro puro del peso di circa 3,5 grammi.
Correva l’ anno 1252. Nel 1284 Venezia fece lo stesso. Queste tre monete divennero le monete con cui si effettuavano i pagamenti a livello internazionale, per gli scambi, i prestiti, le assicurazioni. Erano monete stabili che fungevano anche come sicuro metro di riferimento per determinare il valore di scambio dei beni.










Prime forme di industria manifatturiera. Settori principali. Preminenza italiana in Europa dal ‘200 all’ inizio del ‘500. Crisi, ‘estate di San Martino’ nella 2° metà del ‘500. Crisi irreversibile dall’ inizio del ‘600.

Dominante resta la figura del mercante, che è colui che possiede e anticipa il capitale e spesso trova la materia prima, così come colui che si occupa dello sbocco commerciale.

I settori in cui sorsero le corporazioni artigiane più potenti e poi si ebbero gli inizi della manifattura industriale erano quelli tessili: lana, cotone e seta. Un altro settore in cui si ebbe una forte specializzazione fu quello dei cantieri navali. Non irrilevante era anche il settore della produzione di armi.

Il settore principe rimase però quello tessile, sia perché occupava un numero di manodopera assai maggiore, sia perché maggiormente collegato a sviluppi tecnologici e all’ aumento della produttività. Non da ultimo, riuscì a darsi una certa divisione internazionale del lavoro.

La prima regione leader fu la Fiandra. Poi presero il sopravvento i toscani ed i veneti. Dopo un lungo predominio, solo verso la fine del ‘500 il primato passò agli olandesi. Un secolo dopo furono gli inglesi a superare gli olandesi. Con la rivoluzione industriale ed il macchinismo consolidarono il loro primato ancor di più.

Lo sviluppo economico dei Comuni italiani fu largamente determinato dallo sviluppo della domanda estera” [ Cipolla, Storia economica…, p. 73 ].
Con ciò Cipolla intende in primo luogo i prodotti tessili e dell’ artigianato e solo in secondo luogo quelli agricoli ( soprattutto olio e vino ). Un grosso colpo venne però inferto alle manifatture e ai commerci italiani con le guerre d’ Italia
( tra il 1494 ed il 1538). Con esse: carestie, epidemie, distruzioni del capitale, interruzione dei traffici. Una ripresa si ebbe nella seconda metà del ‘500, con la cosiddetta nostra “estate San Martino”. Ma fu un fuoco di paglia. Per motivi che qui non possiamo analizzare la manifattura italiana non fu più concorrenziale su larga scala. Da allora allora furono solo i prodotti di lusso ed i prodotti agricoli a trainare il nostro commercio estero. Cosa che contribuì ad accentuare la corsa verso la terra e alla ‘sborghesizzazione’ della nostra società.




Università ( dominanti in Italia: diritto e medicina )
Un ruolo di primo piano venne svolto anche dalle università, che sorsero diffusamente soprattutto in Italia, seguendo l’ esempio bolognese.
Le università erano associazioni libere, create per lo più dal basso, che si autogovernavano e trovavano autonomamente le proprie risorse. Dunque, un fenomeno borghese per eccellenza. Ma presto le città stesse, ed i sovrani, ne scoprirono l’ importanza, le fondarono e le foraggiarono.

In Italia ebbe luogo, a partire da Bologna la rivoluzione giuridica che riportò alla luce il diritto romano.
Nelle città italiane si creò una grande committenza per avvocati, giudici e notai, sia per questioni di diritto civile ( fissazioni e transazioni di proprietà, competenze, affitti, prestiti, assicurazioni, esercizio della giustizia ecc. ) che per questioni pubbliche (consulenza ai comuni, organizzazione delle istituzioni statali, controversie tra città e regioni, rapporti tra le corporazioni ecc.).

Ma non va dimenticato che anche i medici godevano di un alto prestigio. All’ avanguardia era l’ università di Padova, il primo vero centro europeo del settore.




Scolarizzazione e alfabetizzazione [ vedi Cipolla, Istruzione e sviluppo, 1969; edizione usata, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 53-54 ]

I primi a sentire il bisogno di alfabetizzazione, di comunicazione e di pianificazione razionale dell’ amministrazione e dell’ economia furono i mercanti. Il sapere, il raccontare, il mettere nero su bianco le informazioni importanti, lo stipulare contratti, il tenere un diario, erano pane quotidiano per i mercanti, i loro collaboratori e i loro familiari. Sentivano anche il bisogno di trasmettere il loro sapere e know how alle generazioni successive.

Firenze era nel ‘300 la città più alfabetizzata d’ Europa. Circa il 40% dei ragazzi tra i 5 ed i 14 anni andava a scuola. Un dato impressionante per il tempo. Allora in città era dato per scontato che ogni artigiano sapesse leggere e scrivere.
Ma tante altre città italiane avevano iniziato già nella seconda metà del ‘200 avevano istituito scuole comunali.
Non è un caso che la letteratura di gran lunga più prolifica, nei secoli XII – XVI, di storie e atti comunali, di storie familiari, di ricordanze personali, si sia prodotta nell’ Italia Centro-settentrionale.

Heidelberg, marzo/aprile 2013
Beppe Vandai





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