venerdì 1 febbraio 2013

Tesi da Un volto che ci somiglia di Carlo Levi.


TESI ESTRATTE da
Un volto che ci somiglia
di Carlo Levi ( 1959-1960 )



1 ) L’ Italia è il luogo e il risultato di un’ antropizzazione lunga, lenta, cumulativa, stratificata, segnata anche da fratture, ma in una sostanziale, solida continuità.


2 ) Ergo: l’ Italia è il nostro vero specchio. In essa possiamo a buon diritto vedere (non solo guardare) noi stessi. E l’ italiano che la vede, che ci vede ? La madre, cioè chi lo ha generato, gli ha dato l’ imprinting.




3 ) Le cose, l’ ambiente, le città, i villaggi in Italia ci costringono a vedere lo spazio ed il tempo nella loro unità. Lo spazio segnato da e formato nel tempo. Il tempo ( cioè gli eventi importanti, epocali, effettuali, degni di depositarsi ) fattosi spazio, ovvero diventato cose nello spazio. L’ Italia è un complesso precipitato del tempo. È anche memoria fattasi cosa, reificata.


4 ) Ecco perché possiamo dire a pieno titolo, in modo pregnante, di vedere nell’ Italia un volto che ci somiglia. ‘Decifrandola’ vediamo noi stessi e possiamo capire perché siamo quello che siamo. Anche lo straniero, se ha un grande spirito, può capirla, ‘afferrarla’, ma sempre come ci si rapporta a qualcosa di estraneo, di diverso da sé. Noi, invece, non possiamo non identificarcisi, avere un rapporto affettivo come quello che si ha verso la propria madre, con la madre che ci ha generati, educati, amati. E parlandone, parliamo di noi stessi, sapendo che ne va di noi stessi.


5 ) E si è tentati di vederla come una divinità antica, in ogni caso come una persona. In questo tratto, sono stati decisivi gli artisti, i poeti, che ne hanno cavato l’ essenza, che le hanno dato forma e voce, che, così facendo, l’ hanno anche determinata. Le cose non sono solo altamente antropizzate, ma portano in sé i segni dell’ interpretazione, di soggettività che l’ hanno formata. Non solo. Le cose sono bene o male tutte conservate nell’ insieme, nell’ intero. Le cose, e le civiltà di cui sono il precipitato, sono entrate in simbiosi. Ne è comunque scaturita un’ armonizzazione: un’ armonizzazione non facile, non priva di contrasti tra le tante stagioni e le tante culture che l’ hanno determinata.


6 ) Ecco perché l’ Italia è anche un luogo di massima realizzazione delle contemporaneità di tempi differenti: sincronia della diacronia. E questo è stato possibile mediante la stratificazione nelle cose, nei costumi, nei modi di vita. Ma c’ è di più. Decisivo è stato il fenomeno dell’ assimilazione del precedente nel susseguente, tollerata o voluta dal seguente. Così si spiega ad esempio che forze molto arcaiche, telluriche, rivivano in modo più delicato, più mansueto, o in modo controllato, nelle civiltà successive. [ Levi pensa qui in primo luogo al passaggio dell’ approccio magico alla natura e al divino, poi passato, trasformato e tollerato dalla Roma antica e dal cristianesimo, ndr ]. [ Ma anche altri tratti hanno radici antichissime e sono giunti fino a noi: il senso dell’ ospitalità, della comunicazione, il valore del cibo, il senso del vicinato, il senso del vivere in armonia, in modo tollerante, il ruolo della sensualità, ndr ].

7 ) Il forte e particolare senso italiano della contemporaneità, che consiste nel senso della permanenza del passato, non ha nulla di museale, di folcloristico perché si manifesta nell’ animo di ogni uomo, nel suo modo di vivere e di sentire. Ma com’ è stata possibile questa metabolizzazione del passato ? Sostanzialmente grazie a due fattori: a ) il policentrismo e b ) la ‘fusione’ delle differenze in un unico contesto, in un’ unica tendenza.
a ) non è stato altro che il dispiegarsi di un’ infinità di centri diversi, che hanno avuto il tempo di cristallizzare forme di vita e culture diverse, ognuna formatasi, in modo differente, alla prova del confronto con la natura.
b ) è consistito nell’ immissione continua, dovuta alla collisione di queste civiltà, di grandi masse, nuove al processo storico, costrette ad adeguarsi, ad assimilare in fretta il nuovo, a ricapitolarlo in sé ( come nel rapporto filogenesi – ontogenesi ).


8 ) Ma il processo di antropizzazione della natura, oltre ad essere antico, plurimillenario, è stato molto duro, segnato per lo più dalla scarsità delle risorse. L’ armonia che spesso si incontra non tragga in inganno, è stata ottenuta con sudore e sangue. E siccome l’ accumulo è stato lento e faticoso, nella gente sono rimasti un profondo senso di attaccamento alla vita, alle condizioni della propria esistenza, alle proprie radici, e una consapevolezza dei propri limiti. Ne nasce negli italiani una realistica e concreta vitalità, refrattaria all’ ideologia e all’ omologazione.


9 ) La civiltà italiana ha in sé un carattere insieme popolare e aristocratico. [ La cosa si spiega, penso, con l’ atavica vicinanza, in cui c’ è contrasto e contaminazione, di questi due elementi sociali costitutivi di una civiltà di lunghissima durata, ndr ]. La nostra civiltà non è affatto borghese, in senso pieno e moderno. Persino la borghesia, sorta per prima in Italia, sgusciata dallo e nello ambiente cittadino, non si è sentita portatrice di una nuova civiltà, non ha sentito il bisogno di rottura, si è piuttosto inserita nell’ antico contesto, con le coordinate che si erano fissate da tempi immemori. Così si spiega la debolezza della borghesia in Italia, la mancanza evidente di un suo ruolo di rottura, di trasformazione e mediazione della società. Tant’ è che ancora convivono l’ uno accanto all’ altro miseria e abbondanza, soggezione e prepotenza, penuria e lusso.


10 ) Ma la miseria, le sofferenze, la precarietà materiale, l’ incertezza nella propria esistenza non hanno mai prodotto nel nostro Paese una cultura tragica, negativa, drammatica. Al contrario, da noi “ è assai più scarso che altrove il dramma dell’angoscia esistenziale “. E si può ben dire che uno dei caratteri fondamentali italiani sia “una profonda sicurezza esistenziale”. “ La persona (…) sta attorno a un suo nucleo solido “.
Quali le possibili spiegazioni di questo dato di fatto esistenziale ? Forse queste:
a ) “ la lunghezza e la complessità del processo storico “, la grande esperienza di mutamenti e di assestamenti ha insegnato a non farsi afferrare da un disperato scoramento;
b ) “ il senso e la capacità della forma “, cioè la potenza dell’ arte, dell’ espressione artistica, che trasfigura e trasforma l’ esistente. Nel nostro Paese l’ arte ha insediato nella gente, in tutto il popolo il senso della forma, ha creato forme che diventano modelli che aiutano a vivere, che trasmettono equilibrio e armonia, ha spinto la persona a cercare e trovare in sé una compiutezza tutta propria e al contempo ideale. Ancora, l’ arte nostra, il bello ideale ha plasmato ed informato di sé anche la religione cristiana, ne ha addolcito le asprezze, l’ ha popolata di immagini “benigne, familiari e materne”.


11 ) Anche quello che si usa chiamare l’ individualismo degli italiani non è altro che compiutezza della persona. Non solo. Il nostro cosiddetto individualismo non ha nulla di solipsistico, di nichilistico, perché si inscrive in un profondo senso della comunità (nazionale, locale e soprattutto familiare). Tutte comunità concrete, realtà che sono ‘la casa’ in cui ‘si abita’, in cui si svolge la vita. Realtà di cui l’ uomo si sente parte integrante.
Queste forme di comunità si sono sedimentate in una lunga e lenta esperienza storica e hanno dato buona prova di sé. E dato che in esse si realizza quella compiutezza dell’ uomo, poco si sente il bisogno di istituzioni più astratte, incardinate su regole e principi puramente razionali ( etici, giuridici o politici ).


12 ) Ma questo individualismo poi convive, si corrobora e si contempera in Italia con un tratto che pare opposto, ma non lo è: con la tensione universalistica. Basti pensare all’ aspetto storico: il Paese è stato al centro, senza soluzione di continuità, dell’ universalismo dell’ Impero Romano e della Chiesa Cattolica. Ma qui non ci si deve fermare. L’ universalismo da noi è un dato profondo, radicato, perché è senso dell’ uomo tout court, un senso vissuto e praticato che ‘apre’ al mondo.


13 ) L’ elemento di fondo che sottende tutti gli altri, il vero baricentro dell’ italianità, è il senso dell’ unità dell’ uomo, unità con il suo passato, nella sua continuità, con la natura lungamente ‘lavorata’, in cui ci si riflette, con le cose che ha prodotto nell’ arco di un tempo lunghissimo, è l’ unità dell’ uomo con se stesso.


14 ) Così si spiega anche il disagio italiano di fronte all’ individualismo radicale, nichilistico, atomistico della civiltà contemporanea. Da questo nichilismo, come dal puro appello alla ragione è sorta la modernità. Una modernità che l’ Italia non capisce o che stenta a capire, verso cui è stata tanto diffidente, da cui in parte è stata esclusa e in parte si è esclusa.


15 ) Levi poi si rapporta con una nota fortemente ottimistica ai deficit sociali, istituzionali ed economici che l’ Italia ha obiettivamente da colmare. “Dopo gli anni vuoti e offesi del fascismo, il popolo italiano si è riconosciuto nella Resistenza“, si è riscoperto in questa epica collettiva. È in primo luogo nel movimento operaio e contadino che vanno riposte le speranze di conservare il meglio del passato italiano. Qui va cercata e trovata l’ Italia vera, “ che salva l’ unità e la libertà dell’ uomo nella sua terra, nel suo amore, nel suo lavoro “. Qui continua a vivere e si rinnova il meglio della sua tradizione.
Giuseppe Vandai Heidelberg, 18 / 09 / 2012

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