venerdì 1 febbraio 2013

Appunti su “Le basi morali di una società arretrata “ di E. C. BANFIELD


APPUNTI SU

Le basi morali di una società arretrata “
di E. C. BANFIELD, Glencoe Ill. 1958
(Edizioni italiane presso Il Mulino, Bologna: 1961, 1976 e 2010)
( Pagine citate dall’ ediz. del 2010, curata da A. Bagnasco )


PREMESSA:
Il libro di Banfiled è considerato un classico dell’ antropologia culturale. Un classico parecchio controverso, a dire il vero. Ma comunque lo si giudichi è uno dei testi che hanno sollevato le maggiori discussioni tra sociologi, antropologi, politologi ecc… Un testo che a suo tempo ed almeno fino alla fine degli anni ’70 ha costretto tanti autori a prendere posizione sulle tesi contenute , sul metodo d’ indagine e di lavoro usato, oltre che sulle sue conclusioni e proposte politiche. Ma ancora oggi è un testo di studio universitario, proprio per la sua valenza paradigmatica.
Noi lo dovremmo studiare, non per fare dell’ accademia, ma per trarne il massimo di profitto nella nostra indagine sull’ Italia, o meglio sul familismo in Italia.




UNA PRIMA OSSERVAZIONE:
Anche per disinnescare il potenziale polemico-politico, ovvero ideologico e non-scientifico che gli è stato attribuito , direi di fare questa mossa: CONSIDERARLO COME LA RIFLESSIONE SU UN INCONTRO–SCONTRO TRA DUE CULTURE, ovvero sull’ impatto che la ‘collisione’ ha avuto sull’ osservatore, proveniente da una cultura ben diversa da quella dell’ oggetto di studio.
Basti leggere con attenzione le due epigrafi che l’ autore ha premesso al suo lavoro: una frase di Hobbes ed una di Tocqueville.
Da Hobbes (probabilmente dal Leviatano): “ In tali condizioni non vi è posto per l’ industriosità, perché i suoi frutti sono incerti; di conseguenza non si coltiva la terra, non si naviga, (…) non vi è edilizia civile (…) non esistono arti né lettere; né organizzazione sociale; e – ciò che è il peggio di tutto – prevale un perenne timore e il pericolo di morte violenta, mentre la vita umana trascorre solitaria, misera, desolata, brutale e breve. “
Da Tocqueville (probabilmente da La democrazia in America): “ Nei paesi democratici la scienza dell’ associazione è la scienza madre, quella dalla quale dipende il progresso di tutte le altre. “
Nella citazione di Hobbes viene descritta la condizione di miseria, di abbrutimento e di angoscia in cui gli uomini sono costretti a vivere se impera la totale anarchia dello stato di natura. Con quella di Tocqueville Banfield intende sottolineare il ruolo fondante della cooperazione sociale per ogni democrazia. La prima citazione è descrittiva, la seconda è sia descrittiva che portatrice di un’ istanza normativa.
Ebbene, tra questi due poli si iscrivono in modo pregnante ed esaustivo i valori–guida e i criteri normativi che, per Banfield e per la tradizione in cui si identifica, debbono informare ogni società democratica moderna.
Detto in soldoni: la cooperazione e l’ autogoverno sono e devono essere i fenomeni fondanti della società democratica moderna ( vedi op. cit., Introduzione, pag. 37 ). Banfiled sa bene che anche negli U.S.A., come nelle democrazie occidentali più avanzate, questi due fenomeni non sono facili da realizzare e vuole studiare quali fattori favoriscono o, al contrario, ostacolano o addirittura impediscono il loro sviluppo.



INFORMAZIONI SU E.C.BANFIELD
Brevi cenni sulla formazione e gli interessi di Banfield prima di andare a Montegrano. ( vedi saggio introduttivo di Arnaldo Bagnasco Ritorno a Montegrano, pp. 11 – 13 ): l’ autore non si era formato come antropologo ma come politologo. Assai giovane collaborò con la Farm Security Administration, agenzia del New Deal roosveltiano a sostegno dei contadini. Inizialmente Banfield vi si identifica, ed è un convinto sostenitore della pianificazione. Poco alla volta però, vedendone delle inefficienze, inizia a dare molto peso al comportamento e alla coscienza di sé che hanno i contadini.
Studiando una grande fattoria Casa Grande in Arizona, nota come l’ ostacolo principale alla pianificazione provenga dalla forte conflittualità dei contadini, che non sanno cooperare. Ora però Banfield vuole allargare il campo d’ osservazione. Passa allora ad occuparsi del caso di una ventina di famiglie di Mormoni a Gunlock, nello Utah. Si tratta di una comunità fortemente motivata sul piano religioso e ideologico, costituitasi spontaneamente. La sua domanda è questa: forse questi contadini poveri, non aiutati dal governo, cooperano meglio degli altri ? La risposta è negativa. Anche qui il livello di collaborazione non è molto diverso che a Casa Grande in Arizona.
A questo punto Banfield si è convinto che né il sostrato economico-strutturale né il solo apparato ideologico fornito dalla religione siano sufficienti a spiegare fenomeni di grave arretratezza sociale. Pensa che esistano specifici fattori, strutturali e sovrastrutturali, che danno spesso un imprinting negativo all’ ethos contadino, generando così sfilacciamento sociale e sottosviluppo. Nel frattempo Banfield ha fatto sua la posizione weberiana, che vede nella cultura, nella visione del mondo e nei principi normativi, delle condizioni necessarie sia al mantenimento dello status quo che, all’ opposto, al mutamento.
Orbene, vuole vedere come stanno le cose in un piccolo paese dell’ Italia meridionale, molto povero ed isolato, lontano dalle grandi vie di comunicazione. Forse lo attraeva anche il fatto che si trovasse in un Paese fortemente cattolico e a civilizzazione antica. Aveva letto “Cristo si è fermato a Eboli” di C. Levi. Infine, la moglie era originaria della zona e poteva fare da interprete e mediatrice con gli indigeni. Così nel 1954 si reca a Montegrano
( pseudonimo di Chiaromonte, paesino della provincia di Potenza).

IL METODO
Il metodo di indagine praticato da Banfield è quello dell’ OSSERVAZIONE PARTECIPANTE (condivisione di esperienza sul campo, empatia, ma anche distacco e riflessione // pratica di un doppio registro). In ciò segue le tracce del metodo praticato, teorizzato e affermatosi con e da Malinowski. B. vive per circa 9 mesi a Montegrano (Chiaromonte), osserva, raccoglie dati sul paese e sui dintorni, fa interviste mirate e via dicendo. E qui giunge ad elaborare (oppure a trovare la conferma definitiva alla) la tesi del FAMILISMO AMORALE.

DEFINIZIONE DI ETHOS
Detto in poche parole: gli abitanti di Montegrano sono portatori di un ETHOS ESCLUSIVAMENTE ORIENTATO ALLA FAMIGLIA.
Con ETHOS intende l’ insieme di COSTUMI, MODI di PENSIERO e MODELLI-GUIDA, socialmente e storicamente acquisiti, che pre-dispongono gli individui ed i gruppi di individui verso un tipo di azione o di reazione, anziché verso un altro .
Un ethos è il correlato pratico-operativo di una VISIONE DEL MONDO. Per Banfield, come per Weber e gran parte dei sociologi e antropologi, l’ ETHOS è e funziona come una SECONDA NATURA dell’ uomo.



DUE TIPI DI ETHOS CONTRAPPOSTI
La COPPIA DI OPPOSTI di questa SECONDA NATURA UMANA rilevante per Banfield è questa: -- o ethos orientato alla famiglia o ethos orientato alla comunità.
E queste si possono far risalire a due tipi-ideali di principi pratico-morali:
a ) un utilitarismo di corto respiro, di corto raggio ( spaziale e temporale ),
b ) un utilitarismo razionale, di ampio raggio spazio-temporale, un utilitarismo che Tocqueville chiama “egoismo illuminato”. Questo autore infatti scrive: “ Io non credo, dopo tutto, che vi sia più egoismo fra noi che in America, la sola differenza è che là esso è illuminato mentre qui [ nella Francia di metà ‘800, ndr ] non lo è affatto. Ogni americano sa sacrificare una parte dei suoi interessi personali per salvare il resto. Noi invece vogliamo salvare tutto e spesso tutto va in fumo “. ( Da Toqueville, La democrazia in America, parte II, vol. II, pp.139-140 , Bologna 1953 . Citazione riportata in Banfiled, a pag. 168 dell’ edizione del 2010 ).


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QUADRO DI MONTEGRANO
Ma ora facciamo un passo indietro. Breve descrizione di Montegrano e della sua struttura sociale:
  • circa 3.400 abitanti nel 1951,
  • non c’ è associazionismo ( a parte il ‘circolo’ dei galantuomini e la Chiesa, che però non svolge attività caritative o benefiche sul territorio )
  • religiosità: solo poco più del 10% dei montegranesi va a messa la domenica, per lo più donne; gli uomini sono “anticlericali per tradizione” ( forse scettici o agnostici, oppure imbevuti di una religiosità privata e agio-centrica )
  • il consiglio comunale ha poteri limitati, si riunisce con difficoltà, speso manca il numero legale,
  • forte analfabetismo (soprattutto di ritorno): un terzo degli uomini e due terzi delle donne non avevano concluso le elementari; ancora nel ’51 il 30% degli individui tra i 10 e i 40 anni era analfabeta; nei contadini fuori dal centri abitato: 44%,
  • scarsissima presa dei partiti politici, solo al momento delle elezioni c’ è attivismo, soprattutto dei preti; distribuzione di pacchi dono; voto di benevolenza o di scambio?
  • alta variabilità delle scelte elettorali tra un paese e l’ altro ( pur con struttura e storia simile ) e nello stesso posto tra una elezione e l’ altra,
  • scarsezza di infrastrutture e collegamenti con i centri maggiori; poca o inesistente volontà o capacità di organizzazione per far pressione per ottenerle
  • struttura economico-sociale agricola; quasi l’ 80% della popolazione attiva è costituta da contadini, da braccianti o da contadini-bracciati; gli appezzamenti, tranne qualche caso ( alcuni galantuomini ed un nobile ), sono piccoli e danno a malapena da vivere;
per il resto: 10% di artigiani; 3 o 4 % di piccoli commercianti; circa il 5% di impiegati o dipendenti pubblici; per il resto: professionisti o proprietari terrieri,
  • agricoltura: piuttosto arcaica, con uso quasi nullo di fertilizzanti, rotazione delle coltivazioni,
  • non vi sono fonti di credito commerciale (nessuna banca),
  • circa la metà dei braccianti sono nullatenenti, molte case non hanno la luce elettrica,
  • 350 famiglie sono nell’ “elenco dei poveri” ( circa un terzo della popolazione) e ricevono gratis le cure mediche e le medicine essenziali; alcuni di loro sono ‘protetti’ di qualche famiglia più abbiente,
  • il lavoro manuale è considerato degradante,
  • la vita dei contadini è segnata da miseria, malinconia, perfino angoscia; infatti si sentono precari, in balia delle contingenze, del caso, che improvvisamente può diventare avverso,
  • i contadini si sentono esclusi dalla civiltà ed ogni chance di riscatto sembra loro illusoria, nemmeno pensabile; si sentono in trappola; qualsiasi sforzo appare inutile,
  • in questo contesto, pensano che l’ unica possibilità di miglioramento offerta loro consiste nel miglioramento dello stato sociale dei loro figli; ergo: auto-limitazione demografica e chiusura nella famiglia nucleare,
  • per loro la società è necessariamente spaccata in due: da una parte pochi benestanti o ricchi, dall’ altra i poveri; non si pensa nemmeno ad un cambiamento di struttura; che pensano i poveri dei benestanti o ricchi ? Per alcuni si sono messi a posto con un colpo basso, per altri è per i loro meriti che stanno a quel livello sociale superiore;
  • non viene nemmeno in mente che ci possa o debba essere maggiore mobilità sociale; l’ unica chance di miglioramento consiste nel sapere afferrare un’ eventuale occasione, ed essere preparati a questa ( ad esempio i figli devono avere un’ istruzione migliore e possibilmente imparare un lavoro),
  • nella famiglia nucleare, se ci sono due maschi, il primo viene privilegiato, a lui va la piccola eredità di famiglia, l’ altro deve più o meno arrangiarsi; una preoccupazione sorge con la nascita di una femmina ( perché si devono spendere e accumulare risorse per la dote ); la cosa si ripete se il maschio ‘mette su famiglia’: allenterà i rapporti con la famiglia d’ origine e non avrà quasi risorse per aiutare i genitori; spesso ci sono dissapori tra fratelli per la ‘roba’; anche per questo gli appezzamenti posseduti dalle famiglie contadine sono piccoli.

In due parole: quella di Montegrano è una società pauperistica, per lo più di pura sussistenza, con una struttura sociale a famiglia atomistica. Vi regna la paura di cadere al di sotto del mero livello di sussistenza. Non ci sono vere speranze di ascesa. Ognuno cerca di difendersi come può. Cooperazione e autogoverno: scarsissimi o nulli. Al massimo i commercianti fanno credito ai contadini o i possidenti anticipano derrate o sementi ai contadini nei momenti di massimo bisogno.

LE CAUSE STRUTTURALI
Per Banfield le cause, ovvero basi materiali, dell’ ethos operante a Montegrano ( che lui chiamerà familismo amorale) sono queste:
a ) alta mortalità ( senso di precarietà nei confronti delle contingenze e del destino ),
b ) un determinato assetto fondiario,
c ) l’ inesistenza della famiglia estesa.


IL CIRCOLO VIZIOSO
Ma si badi bene, una volta creatosi, un ethos ha una sua grande forza interna ed una notevole inerzia. Influisce cioè tantissimo a limitare o azzerare le chances di cambiamento dei montegranesi. Cioè la società arretrata si perpetua, si riproduce tramite l’ habitus mentale e comportamentale dei suoi componenti. Circolo vizioso.

COME ROMPERLO
Banfield non vede come possano intervenire radicali mutamenti economico-strutturali, data la struttura proprietaria e data la poca attrattività della zona per uno sviluppo di una agricoltura di tipo capitalistico ed ancor di più per uno sviluppo industriale. La situazione potrebbe migliorare se e solo se gli abitanti iniziassero a collaborare tra di loro. Il circolo vizioso andrebbe rotto a livello dell’ ethos, ma purtroppo l’ ethos che si è sviluppato a Montegrano è altamente negativo.
Nell’ ultimo capitolo ( cap. IX , intitolato “Il futuro” ) Banfield avanza una serie di proposte per uscire dal degrado sociale di Montegrano. Ora non ce ne occupiamo. Rinvio semplicemente a quel capitolo.


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IL FAMILISMO AMORALE

Occupiamoci piuttosto della TEORIA DEL FAMILISMO AMORALE, così come Banfield l’ ha sviluppata. La sua analisi si articola in 3 CAPITOLI:

Nel CAPITOLO QUINTO ( Un’ ipotesi predittiva ) Banfield fornisce dapprima la DEFINIZIONE di FAM. AMORALE e poi un CATALOGO DI COMPORTAMENTI TIPICI dell’ ETHOS dei familisti amorali. [ Qui rinvio soprattutto a Alfio Squillaci: http://lafrusta.homestead.com/rec_banfield.html

Nel CAPITOLO SESTO ( L’ ethos in pratica ) espone come si articola, per l’ intero corso della vita e nel quotidiano l’ ethos del familista amorale: un ethos impastato di diffidenza, di paura, di chiusura a riccio, di incapacità progettuale, dominato dal bisogno e dall’ interesse immediato.

Nel CAPITOLO SETTIMO ( L’ ethos come principio ) Banfield si occupa principalmente della religiosità dei montegranesi, una religiosità povera e legata soprattutto ad un rapporto utilitaristico con il soprannaturale. Espone anche quali sono i criteri di giudizio in base ai quali un montegranese decide se un’azione è buona o cattiva. Al centro di tutto sta il bene della famiglia. C’ è un debole senso della colpa. Dominano l’ utilità immediata ed il particolarismo sociale o, per meglio dire, a-sociale.

Da quest’ ultimo capitolo vorrei innanzitutto estrapolare alcune citazioni che illustrano le coordinate comportamentali che segue un buon montegranese.
La concezione del giusto e del non giusto che è propria del contadino (…) si connette in grandissima parte al tema centrale della sua esistenza: la famiglia che egli si crea. Bontà e malvagità esistono per lui in rapporto con due tipi di situazione, quella del ‘genitore’ e quella di ‘estraneo che può danneggiare la famiglia’. “
In riferimento alla prima. La bontà consiste nel lavorare e sacrificarsi per il bene della famiglia, nel dare ai figli consiglio e appoggio per metterli sulla buona strada, e nel mantenersi fedele al proprio coniuge. La fedeltà è di importanza assoluta quando si tratti di una donna; per gli uomini non è altrettanto importante, ma neppure cosa da considerarsi secondaria. “
In relazione al secondo ruolo, quello di estraneo che può danneggiare la famiglia, essere buoni significa non suscitare apprensioni: l’ uomo buono non tenta di sedurre la moglie o la figlia di un altro uomo, non ruba, non crea discordia. La donna buona non è invidiosa di ciò che ha la sua vicina e non fa pettegolezzi. In termini positivi, una persona è considerata buona se è amabile, bada ai fatti suoi, e aiuta chi è nel bisogno. “
Su chi non sia né parente né ‘estraneo che può danneggiare la famiglia’ non vengono formulati giudizi di alcun tipo “.
Chiesto un giudizio su alcuni tipi di crimini, anche gravi, che qualcuno avesse commesso lontano dal raggio di azione della famiglia, metà dei contadini interrogati da Banfield rispondevano: “ Non è un delitto”; “ È il suo destino. “ [ pp. 140–141 ].
Nella mentalità dei montegranesi, l’ azione umana appare il risultato di forze che agiscono sull’ individuo piuttosto che come la conseguenza di una data motivazione operante dentro di lui. L’ individuo è senza dubbio impulsivo di natura: i suoi istinti lo rendono incline a cercare il piacere fisico e in generale a essere indulgente con se stesso. “ [ p. 144 ].
(…) chi commette il male deve essere trattato con la massima severità, perché il biasimo e la punizione contribuiscono a creare quell’ insieme di pressioni senza le quali ciascuno commetterebbe il male. Colui che viene punito però, non si sente colpevole, ma piuttosto sfortunato (…) . “ [ p. 146 ].
Non sembri eccessivo affermare che la maggioranza di Montegrano non ha senso morale, eccetto forse quello richiesto dalla sua devozione alla famiglia. Se un contadino resiste alla tentazione di agire male, è per timore della giustizia o di quello che può dire la gente, non perché lo spingano a comportarsi bene l’ amore di Dio, la coscienza, o il timore del castigo ultraterreno. (…) Un contadino dice che bestemmiare è meno grave che rubare, perché ‘Dio perdona; rubando si può incorrere invece nei rigori della legge, e la legge non perdona’. “
(… ) per la maggior parte degli abitanti di Montegrano nulla è sacro: dunque non riconoscono obblighi né senso di colpa. Uno dei preti di M. dice: ‘La maggior parte delle nostre popolazioni non si pone neppure il problema di una possibilità di valutare il loro atto umano: per questa gente è morale ciò che fa maggiormente comodo, sia in modo lecito sia in modo illecito, perché non si crede alla vita dello spirito e all’ aldilà; non si crede ad una sanzione’ . [ pp. 147–148 ].
(…) il desiderio di godere della stima degli altri è un motivo secondario, non decisivo nella scelta del comportamento. “ [ p. 150 ].

Che esce dal quadro che Banfiled disegna ? Esistono norme di comportamento, consistenti in divieti ed imperativi, o consigli, ma il contesto da cui scaturiscono o trovano il loro fondamento o l’ applicazione è molto ristretto. La precettistica non ha fondamenti universali, si misura piuttosto con uno schema semplice di vantaggi e svantaggi al cui centro funziona come dispositivo dirimente la coppia di opposti: vantaggio o svantaggio per sé e per la famiglia. Mai si sale ad un livello di astrazione che comprenda, non dico principi a priori, ma nemmeno l’ intera società. Se di morale si tratta, nel caso dei montegranesi, allora, al massimo si tratta di costumi che si sono affermati, ma resi deboli dal ristretto orizzonte. Infatti, spesso, si ‘sospende il giudizio’ qualora un male non danneggi direttamente la famiglia o la comunità.
Le dichiarazioni dei contadini, le loro risposte ai questionari costruiti da Banfiled, denotano una scarsissima interiorità, quasi l’ assenza dell’ habitus mentale della riflessione. E questo ovviamente fa il paio con quanto abbiamo appena osservato. Non solo. Quando sono spinti ad esprimere giudizi, a rifletterci sopra, nei montegranesi pare completamente assente il momento dell’ intenzionalità. Orbene, questo è invece essenziale in qualsiasi sistema etico di una certa dignità e forza. Lo è per l’ etica kantiana, per quella cattolica, anche per l’ utilitarismo inglese. Lo è anche per l’ etica greca classica. Per chiamare un’ azione ‘moralmente buona’ non basta che non violi la legge. Non sono le prescrizioni legali, tutte esterne, da applicare in base a dati di fatto, a determinare il campo dell’ etica. Né tantomeno lo sono le punizioni previste per il mancato rispetto del codice di comportamento socialmente fissato. Il luogo del giudizio etico è prima di tutto il foro interno. Ma, per la popolazione studiata da Banfield, la morale si basa su un codice eteronomo, che, nella migliore delle ipotesi, ‘il buono’ rispetta.
Sappiamo che i termini “morale“ ed “etica“ sono ahimè piuttosto ‘gommosi’, polisensi. Si prestano infatti ad equivoci, soprattutto in contesti diversi, ed in base all’ uso fattone da autori diversi. Per questo accade spesso che, non riuscendo a controllarne l’ uso, in discussioni, si finisca di parlare di oggetti differenti, credendo di averne afferrato uno solo. Da qui equivoci o sofismi a non finire. Quando riflettono sull’ uso dei termini “bene”, “male”, “giusto”, “ingiusto”, “morale”, “delitto”, i montegranesi mostrano di occuparsi dei costumi che la loro comunità o il loro orizzonte di vita sanciscono come positivi o negativi. I costumi hanno una loro validità obiettiva, anche se per di più, i montegranesi spesso tendono a indebolirla, a relativizzarla. Mai questi costumi hanno però una fondazione universale, indipendente dal loro orizzonte locale, sia essa una fondazione divina, oppure antropologica, o utilitaristica o di tipo aprioristico-razionale. Nel dire questo non sostengo che solo chi ha riflettuto su queste alternative o ha una conoscenza teorica dei principi ispiratori della morale possa agire in modo etico. Basta il sentore, comunque interiorizzato, di avere a che fare con principi inconcussi ed universali, perché si entri nell’ ambito dell’ etica in senso pieno e forte.
Se l’ abitudine, l’ adeguamento a comportamenti tramandati, una certa efficace stabilità di costumi di una compagine sociale bastano a costituire un ETHOS, non è detto che siano adeguati al minimo che l’ ETICA richiede. Ecco perché Banfield non cade in contraddizione attribuendo ai montegranesi un ethos, ma affermando che il loro ethos è amorale. Il loro ethos non soddisfa infatti i requisiti minimi che l’ agire etico – così come è concepito nel pensiero occidentale – impone.

Detto questo, vorrei ora soffermarmi su due punti della teoria di Banfield: la scelta terminologica (familismo amorale) e la definizione che lui ci offre dello stesso.
La definizione suona così: “ Massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo “ ( pag. 101 ).
- Così come è concepito si tratta di UNA PRINCIPIO SOGGETTIVO CHE DEVE ORIENTARE O DETERMINARE L’ AZIONE. È cioè di carattere prescrittivo-normativo
( non è un principio cognitivo che faccia da premessa per un sistema di conoscenze ).
- Ha il carattere di un orientamento universale. E gli è immanente un universalità doppia:
a ) è una regola che un individuo deve applicare sempre, una regola cioè che genera ripetizione e disposizioni pratico-mentali ); b ) vale per tutti o, meglio, è attribuita de facto a tutti.
- Così come è presentata, non è frutto di una scelta consapevole tra una serie di opzioni differenti.
- La norma è di tipo non formale, né astratto ed é di tipo utilitaristico.
- Il contenuto della prescrizione è invece di tipo particolaristico ( l’ inverso della concezione kantiana, manzoniana o anche utilitaristica dell’ etica ).

Ergo: la massima dell’ ethos montegranese è per se ANTI-ETICA. Mi sembra dunque azzeccata la scelta terminologica di Banfield.
È appropriato chiamare con il termine “familismo” un ethos in cui vengono messi al primo posto, sempre e ed esclusivamente, la famiglia e i suoi membri, a fronte di una natura ed un ambiente ostili, da cui provengono solo minacce e da cui bisogna difendersi.
Ma anche l’ aggettivo “amorale” calza bene. Se proprio vogliamo, a essere ancora più precisi, si dovrebbe parlare di familismo antimorale ( non nel senso che propugni comportamenti contrari alla pubblica morale o il disprezzo nichilistico verso la morale ), ma nel senso che compromette le basi dell’ etica, così come è concepita nel nostro universo culturale. Infatti qui abbiamo a che fare con un utilitarismo immediato, di corto respiro che
a ) “uccide” l’ universalità di ogni vera norma morale,
b ) compromette, al di fuori della famiglia, il senso della reciprocità paritaria o equa,
c ) blocca la capacità di progetto, la proiezione verso il futuro, lo sviluppo di comportamenti razionali, inquadrati in un orizzonte temporale ampio.
Ancora, il familismo amorale compromette sia l’ etica privata ( norme morali ad alta universalità, comunque fondate, che tocchino le azioni a corto raggio o le relazioni diadiche ) che l’ etica pubblica ( dotazione di norme e motivazioni per interazioni sociali, anche ampie, positive per tutti ).

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UN RAFFRONTO
Vorrei concludere queste mie annotazioni mettendo a confronto un esempio di ethos non-amorale ( o forse morale ? ), che Banfield stesso porta nel corso del libro, ed il familismo amorale dei montegranesi.
A pag. 154 – 156 di Le basi morali… Banfield sposta il focus delle sue riflessioni sul familismo tipico delle campagne del Nord Italia. Cita l’esempio del rovighese per porre l’ attenzione sulla diversa struttura sociale e sul diverso ethos nelle campagne della pianura padana. Lì, da secoli, i contadini hanno vissuto in cascine medie o grandi, in cui abitano più famiglie imparentate fra loro (quasi sempre famiglie numerose). Sono coltivatori proprietari o lavorano come mezzadri. Sono abituati alla cooperazione, non sono così angosciati dalla paura delle carestie. Hanno sviluppato un ethos della collaborazione, dell’ aiuto reciproco, dell’ altruismo. Tipica della campagna padana è dunque quella che Banfield chiama “famiglia estesa” ( o “allargata”).
Ciò significa che il familismo non è necessariamente amorale. Solo in certe condizioni, e sotto certi condizionamenti, ha una connotazione amorale o anti-morale o anti-civica.


TRE DOMANDE PER CONCLUDERE:

a ) Quali sono la portata e la diffusione del familismo amorale in Italia, pur nelle sue gradazioni e specificità regionali ?

b ) Questo fenomeno, con le dinamiche etico-sociali e istituzionali che gli sono proprie, ha avuto o ha anche radici diverse da quelle esposte ed analizzate da Bansfield ( pauperismo, precarietà, paura, isolamento culturale ecc. ) ? Se così fosse non ci sarebbe un rapporto biunivoco tra quel tipo particolare di struttura sociale ed il familismo amorale. [ Tra l’ altro Banfield è accorto e non sostiene affatto che il familismo amorale valga per tutto il Meridione, né che ci sia un rapporto biunivoco tra quella struttura e quell’ ethos ].

c ) Si può affermare che l’ ethos ‘padano’ sia un familismo morale e che sia community oriented ? Se ci sono, quali sono i suoi limiti ? Ancora, comunque esso sia, esiste ancora tale e quale come 50 o 60 anni fa ? I mutamenti di vita e sociale degli ultimi decenni hanno fortemente investito l’ istituzione famiglia. Si può ancora parlare di familismo ? Non è per caso che si sia avuto un suo sfilacciamento, con una conseguente perdita di un ethos community oriented ? E che impatto ha oggi la famiglia, o ha la sua crisi, sulla società e sulle istituzioni ?


Beppe Vandai Heidelberg, 25 / 10 / 2012

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